Cronaca

Se Napoli non cambia, l’uccisione dei tanti GioGiò sarà stata inutile

“Perché so sparare così bene? A Capodanno compravamo le pistole e sparavamo”. Scende il gelo e s’impadronisce dell’aula del Tribunale per i minorenni di Napoli quando il 17enne killer di GioGiò, risponde così gelido, indifferente alla domanda formulata dal giudice che gli chiedeva “Come avesse imparato così bene a sparare”. È stata una prova durissima per Daniela Di Maggio e Franco Cutolo, i genitori di Giovanbattista, il 24enne musicista napoletano ammazzato, lo scorso 31 agosto dello scorso anno, con tre colpi di pistola per aver difeso un suo amico nel corso di una rissa. Lo sguardo basso del babykiller ha più volte incrociato gli occhi di Daniela e Franco.

Prima che cominciasse l’udienza preliminare e quindi si trovassero al cospetto dell’assassino del loro figlio hanno manifestato davanti al tribunale. I genitori di GioGiò, infatti, nei giorni scorsi avevano invitato la città ad esserci: “Dobbiamo essere in tanti, dobbiamo metterci la faccia”. E in molti hanno partecipato, in prevalenza, c’erano amici e conoscenti di GioGiò. Imbracciato il megafono la vulcanica Daniele e il più riservato Franco hanno fatto sentire forte il loro grido di sdegno. Quest’ultimo è stato perentorio: “Spero in una pena esemplare, ho fiducia nel giudice. Ci vogliono interventi seri del governo in generale sui minori, ma prima delle nuove politiche sociali ci vogliono misure subito. Il primo problema sono le armi, troppe in mano ai minori. E poi sappiamo che i ragazzi di oggi non sono gli stessi di qualche anno fa, i giudizi non possono essere uguali”.

A pochi metri c’era anche loro: i familiari e gli amici del babykiller. E quando si è diffusa la notizia del verdetto di condanna a 20 anni di carcere del giudice per l’udienza preliminare Umberto Lucarelli non sono mancati forti momenti di tensione. Addirittura alcuni familiari del killer con gesti e parole hanno più volte minacciato chi era presente al sit-in dietro lo striscione “Giustizia per Giogiò”. Solo il provvidenziale intervento delle forze dell’ordine ha evitato il peggio. Proprio così. Nel frattempo video e immagini sono all’attenzione dell’autorità giudiziaria.

Lo ripeto e lo scrivo da anni: Napoli deve essere aiutata. A chiacchiere tutti lo fanno. Abbondano comitati civici contro la camorra, associazioni per la legalità, patti educativi, appelli e iniziative tutte rigorosamente a favore di telecamera con incorporato il solito lesto candidato da portare in giro come la ‘madonna pellegrina’ oppure i tanti progetti di rinascita simbolicamente finanziati da istituzione che così cercano di alleviare il loro atavico senso di colpa. È un teatrino. Un brutto spettacolo mentre il calendario ci ricorda gli anniversari dei tanti, troppi lutti. Tra qualche giorno, il 27 marzo saranno 20 anni dall’uccisione di Annalisa Durante appena 14 anni quando rimase vittima nel corso di una sparatoria tra camorristi al rione Forcella.

E nel giorno dell’anniversario dell’uccisione dell’Angelo biondo di Forcella nel quartiere Secondigliano, una strada sarà intitolata alla memoria di Gianluca Cimminiello: aveva 32 anni quando, il 2 febbraio 2010, fu brutalmente assassinato a colpi di pistola a Casavatore, provincia di Napoli, da esponenti del Clan Amato-Pagano. Potrei continuare e snocciolare tanti, tantissimi nomi di adolescenti, ragazzi, giovani che non invecchieranno mai.

La vita spesso a Napoli vale davvero poco, niente. Non c’è pentimento, non c’è ravvedimento, non c’è nulla. In questi giorni si sta celebrando il processo a carico di Francesco Pio Valda, 20 anni, accusato dell’omicidio di Francesco Pio Maimone, il 18enne pizzaiolo colpito da una pallottola vagante agli chalet di Mergellina: tra il 19 e il 20 marzo 2023. Non è l’unico imputato, alla sbarra anche i tanti familiari e amici che l’hanno aiutato a fuggire, l’hanno tenuto nascosto, rifocillato e fatto sparire l’arma. Napoli, a volte, è città dell’orrore. I criminali sembrano privi di umanità. La violenza cieca prende il sopravvento. Sono improvvise fiammate di immane crudeltà. Avete già dimenticato le mattanze delle tre faide di Scampìa? Corpi dilaniati dal piombo dei revolver, esecuzioni disumane come quella di Gelsomina Verde, sparata e bruciata nella auto, le tante vendette trasversali.

Ti fermi a guardare il panorama, la bellezza infinita dei monumenti, il mare, il Vesuvio, la gioia negli occhi dei turisti, le strade, i vicoli affollati. Non ti trattieni e scatti selfie, giri video e celebri la suggestione, l’emozione di ciò che la natura ha generosamente voluto regalare a questo pezzo del Sud del mondo. Ne resti ipnotizzato, stuptiato, sedotto, stregato. Poi, il buio. Si precipita nel burrone. Come trascinati nell’inferno. Dopo anni e anni dico a me stesso che ho capito poco di questa città. So solo che ci sono tante Napoli dentro Napoli. Per i tanti talenti, intelligenze, geni c’è il contrappasso dantesco in cui un ragazzino che non nasce delinquente può comprare tranquillamente pistole al mercato nero e nel frastuono dell’ultimo giorno dell’anno sparare contro una saracinesca oppure addosso a qualche immigrato come accadde al rione Forcella per fare la mano, impratichirsi. È l’educazione di miezz ‘ a via che impone ai giovanissimi dai 10 ai 14 anni di possedere già delle abilità criminali. Mostrare a tutti nel quartiere, nel rione, nel vicolo che nonostante la giovanissima età, si è già fatta una scelta di vita: mettersi a disposizione di un clan per garantirsi un futuro. Ne parla approfonditamente lo studioso Isaia Sales nel saggio ‘Teneri assassini – il mondo delle babygang a Napoli’ edito da Marotta&Cafiero.

Numeri, cifre e statistiche impetuose che fotografano una situazione drammatica dove a Napoli, terza città d’Italia, si può diventare boss di camorra a 18 anni, si partecipa a delitti efferati tra i 15 e i 18 anni, a 14 anni si è già nel giro della droga e si è pronti per essere assoldati dai clan, a 13 si ha già come modello di vita il camorrista del quartiere. È un cancro che per estirparlo oltre alla pena esemplare, agli anni di carcere, al pugno duro occorre un urgente cambio di paradigma e affidarsi a chi sa fare organizzando e attuando una sorta di piano Marshall. Napoli, i suoi quartieri, rioni, vicoli sono solo lo spaccato delle marginalità del nostro Paese.

Non c’è più tempo, altrimenti anche l’uccisione di GioGiò, di Francesco Pio, di Annalisa, di Gianluca, di Maurizio, di Fabio e come i tanti prima e dopo di loro è stata inutile.