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Anche a Rafah attacchi illegali israeliani e decine di palestinesi uccisi: le ricostruzioni di Amnesty

Neonate di tre settimane che avevano un nome ma non erano state ancora registrate all’anagrafe, corpi sbriciolati e irriconoscibili estratti dopo ore dalle macerie, altri decapitati, altri ancora scagliati a 200 metri di distanza.

Amnesty International è tornata a indagare sugli attacchi illegali israeliani contro la Striscia di Gaza. Ne ha ricostruiti quattro – tre nel dicembre 2023, dopo la fine della “pausa umanitaria”, e uno nel gennaio 2024 – che hanno ucciso almeno 95 civili, tra i quali 42 bambini. Gli attacchi hanno colpito il governatorato di Rafah, all’estremità meridionale della Striscia di Gaza e asseritamente la zona “più sicura”, dov’era stato ordinato agli sfollati del nord e del centro di evacuare.

In tutti e quattro gli attacchi non è stata trovata alcuna indicazione che gli edifici colpiti potessero essere considerati legittimi obiettivi militari e ciò ha sollevato preoccupazioni che si sia trattato di attacchi diretti contro civili e obiettivi civili, da indagare come crimini di guerra. Israele non ha ancora spiegato perché siano stati scelti quegli obiettivi.

Tre dei quattro attacchi sono stati portati a termine di notte quando era probabile – come poi è stato – che le persone residenti negli edifici colpiti, tra le quali intere famiglie sfollate da altre zone della Striscia di Gaza, stessero dormendo.

Il 12 dicembre 2023, alle 3.02 di notte, un attacco israeliano nel quartiere Zuhor di Rafah ha direttamente centrato due abitazioni appartenenti alla famiglia Harb, uccidendo 25 civili: 10 bambini, nove uomini e sei donne, una delle quali all’ottavo mese di gravidanza. I feriti sono stati almeno 17. L’attacco ha completamente distrutto i due edifici e ha danneggiato gravemente tre edifici adiacenti. La famiglia Harb stava ospitando parenti costretti a lasciare Gaza City su ordine delle forze israeliane. Erano tutti ben conosciuti e non avevano alcuna affiliazione politica. Dalle testimonianze e dalle prove fotografiche, che mostrano almeno due crateri, è risultato chiaro che l’edificio sia stato colpito più di una volta.

Alle 11.45 del 14 dicembre 2023 un attacco israeliano ha completamente distrutto un edificio di tre piani nel quartiere Brazil di Rafah, appartenente ad Abdallah Shehada, 69 anni, chirurgo in pensione e già direttore dell’ospedale Abu Yousef al-Najjar. Abdullah Shehada è stato ucciso insieme ad almeno altri 29 civili: 11 bambini, sette uomini e 11 donne. Almeno altre dieci persone sono rimaste ferite. La vittima più grande era Hamdi Abu Daff, uno sfollato di 86 anni; la più piccola, Ayla Nasman, aveva appena tre mesi. Almeno due delle persone sfollate e che si trovavano presso la famiglia Shehada avevano il permesso di lavorare in Israele, dunque erano state sottoposte a rigorosi controlli da parte delle autorità israeliane.

La famiglia Nasman, ospite degli Shehada, era arrivata a Rafah in due momenti diversi: a metà ottobre i genitori del capofamiglia, Ahmad Nasman; un mese dopo lui con la moglie e ai figli. Avevano fatto un viaggio tremendo da Gaza City a Rafah su un carretto trainato da un cavallo, attraverso il cosiddetto “corridoio sicuro”, che ha descritto come “il corridoio dell’inferno”. I figli erano rimasti terrorizzati alla vista dei soldati israeliani che eseguivano perquisizioni corporali. Ci ha messo quattro giorni per ritrovare il corpo della piccola Aya tra le macerie, riconoscendola solo dai vestiti, e quello dell’altra figlia Arwa, decapitato.

All’1.30 del 19 dicembre 2023 un attacco israeliano ha colpito l’edificio di due piani della famiglia di Omar Zu’rub, nella zona occidentale di Rafah, uccidendo 22 civili: 11 bambini, sette uomini e quattro donne. La vittima più anziana, lo stesso capofamiglia, aveva 75 anni; la più giovane, la sua bisnipote al-Amira Aisha aveva meno di tre settimane di vita e doveva ancora essere registrata all’anagrafe. Tutte le persone che stavano dormendo al primo piano sono morte. L’edificio è stato completamente distrutto e tre edifici vicini sono stati gravemente danneggiati. In uno di questi, un’abitazione a due piani appartenente al giornalista Adel Zu’rub, c’erano almeno 70 persone della famiglia al-Lada, fuggite da Tal al-Hawa, un quartiere di Gaza City, nella seconda settimana dall’inizio dell’offensiva israeliana.

Poco dopo le 23 del 9 gennaio 2024 un attacco israeliano ha colpito gli ultimi due dei cinque piani dell’edificio della famiglia Nofal, situato a Tal al-Sultan, una zona di Rafah verso la quale l’esercito israeliano aveva ripetutamente ordinato agli sfollati di recarsi. Quel quartiere era anche espressamente segnalato come “sicuro” su una mappa fornita dall’esercito israeliano insieme agli ordini di evacuazione. All’interno dell’edificio c’erano parenti dei Nofah, fuggiti da Khan Younis. L’attacco ha ucciso 18 civili: 10 bambini, quattro uomini e quattro donne. Almeno altre otto persone sono rimaste ferite. Sedici delle 18 vittime erano al quarto e al quinto piano. Le altre due, un uomo e un bambino, erano vicini appartenenti alla famiglia Awadallah, la cui casa fatta di lamiera è crollata sotto le macerie dell’abitazione della famiglia Nofal.

Gli esperti in armamenti di Amnesty International hanno esaminato le foto dei frammenti recuperati dalle macerie e hanno concluso che l’attacco è stato portato a termine con una bomba GBU-39 di piccolo diametro, un’arma guidata di precisione con una testata più piccola, il che spiega perché siano stati colpiti i piani alti dell’edificio. Quella bomba è prodotta negli Usa dalla Boeing.

I familiari di alcune delle vittime incontrate da Amnesty International hanno detto che a farle andare avanti, nonostante le loro perdite, è la lotta per avere qualche forma di giustizia. Le loro parole mettono in luce l’importanza di porre fine alla duratura impunità per i crimini di guerra e per gli altri crimini di diritto internazionale commessi dalle forze israeliane. Da qui, l’urgente necessità che l’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale acceleri le sue indagini sulle prove di crimini di guerra e di altri crimini di atrocità commessi da tutte le parti in conflitto.