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Concordato preventivo aperto agli evasori, ecco il risultato: azzerata la stima di maggior gettito. Addio a 1,8 miliardi in due anni

Il gettito previsto dal concordato biennale con il fisco si azzera. È il risultato delle modifiche entrate nella versione finale del decreto che attua il nuovo meccanismo di accordo preventivo tra l’Agenzia delle Entrate e 4 milioni di autonomi e pmi sulle imposte da pagare nei successivi due anni. Accogliendo una delle richieste dei senatori di maggioranza in commissione Finanze, il governo ha deciso di consentire l’accesso alla misura e ai suoi benefici premiali anche ai contribuenti che l’amministrazione sa essere probabili evasori perché hanno un Indice sintetico di affidabilità fiscale (Isa) inferiore al livello di sufficienza, pari a 8. La Relazione tecnica aggiornata del provvedimento ne prende atto e conclude che non si possono quantificare ricadute positive. Addio, dunque, agli oltre 1,8 miliardi di incassi aggiuntivi che erano invece attesi – stando alla RT scritta lo scorso novembre – solo per effetto del raggiungimento del punteggio 8 da parte di autonomi e professionisti interessati all’intesa con l’Agenzia.

In conferenza stampa al viceministro Maurizio Leo è stato chiesto conto del rischio che eliminare il requisito del voto Isa possa incentivare l’evasione, visto che diventerà possibile ottenere i vantaggi finora riservati solo ai “virtuosi” (vedi l’esclusione da alcune tipologie di accertamenti) senza dover dichiarare di più. L’esponente di Fratelli d’Italia ha assicurato che l’obiettivo è al contrario quello di contrastarla. E per giustificare le modifiche in corsa ha ricordato che a causa della “carente capacità operativa” delle Entrate al momento in media solo il 5% delle partite Iva soggette agli Isa riceve un controllo del fisco. Dunque, è il suo ragionamento, le loro sottodichiarazioni non vengono intercettate: meglio coinvolgerle nel concordato e sperare di indurle per quella via a far “gradualmente emergere base imponibile“.

Posto che il ridotto numero di controlli è un problema ben noto da anni, però, è ben difficile giustificare in questo modo la rapida marcia indietro rispetto all'”ancoraggio” agli Isa previsto solo tre mesi fa. Ed è lo stesso ministero, nella nota che quantifica gli effetti finanziari del decreto, a chiarire come l’ampliamento della platea dei beneficiari allontani di molto, invece che avvicinarlo, l’obiettivo di emersione propagandato da Leo, già impegnato a promettere che il gettito del concordato verrà usato per “incidere ulteriormente sulla riduzione delle aliquote Irpef”.

Basti dire che la vecchia relazione tecnica dedicava sette pagine alla stima dei maggiori ricavi potenziali per l’erario, con dovizia di tabelle che suddividevano gli introiti aggiuntivi per tipologia di imposta. Solo dal raggiungimento del voto 8 da parte dei soggetti Isa sarebbero derivati 605 milioni l’anno, a cui sommare i ricavi legati ad altri due requisiti, cioè la necessità di saldare i debiti fiscali superiori a 5mila euro e di dichiararne almeno 2mila. Considerato il saldo per il 2023 – per accedere sarebbe stato necessario dichiarare di più già per l’anno scorso – e gli acconti per il 2024 e il 2025, il totale complessivo per il primo biennio era cifrato in 1,8 miliardi.

Ora basta una pagina per concludere che gli effetti positivi di gettito “prudenzialmente non vengono quantificati“. La speranza che qualcosa in più possa entrare c’è, perché resta il paletto legato alla necessità di non avere iscrizioni a ruolo sopra i 5mila euro e si ipotizza un incentivo a “effettuare investimenti che consentano di incrementare la redditività” in modo da produrre un reddito superiore a quello concordato con le Entrate (sulle cifre aggiuntive nulla è dovuto). In più, visto che chi non versa il dovuto decadrà dal concordato, si può ipotizzare un calo dell’evasione da riscossione, cioè quella di chi dichiara ma non paga, che stando alle Relazioni sull’evasione comporta in media oltre 13 miliardi l’anno di minori entrate. Tutte voci talmente aleatorie che il Mef non si spinge a quantificarle.

Il punto è che ora la palla passa nel campo dell’Agenzia, chiamata a proporre ai probabili evasori un imponibile presunto che non li faccia scappare. Nonostante il governo non abbia accettato l’ulteriore indicazione di limitare l’incremento di reddito rispetto a quello dell’anno di riferimento a un massimo del 10%, è possibile che per evitare il totale fallimento dell’operazione l’asticella venga fissata su livelli molto bassi. Ben lontani, per gli “inaffidabili”, dal reddito che dovrebbero dichiarare per raggiungere un Isa sufficiente. Morale: per Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd, il governo è passato da una narrazione in cui i guadagni sarebbero stati previsti “in modo millimetrico” (parola di Leo lo scorso ottobre) all’ammissione che “l’Amministrazione non ha capacità operativa sufficiente per fare i controlli e allora prendiamo per buono quello che hanno dichiarato e gradualmente cerchiamo di chiedere loro qualcosa in più. Una resa indecorosa nei confronti dell’evasione, che avrà come unico esito quello di spingere all’inaffidabilità anche i contribuenti che oggi sono considerati affidabili”. Concorda il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, che vede il rischio di “cristallizzare un’evasione fiscale di massa, che diventerebbe non più accertabile né punibile“.