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Il ritorno di Godwin, migrante per l’eternità

Sabato non c’era nessuno per la sua sepoltura. Solo la terra, silenziosa e accogliente come un grembo materno, l’ha preso e custodito. Lui era arrivato ad un certo punto dell’anno scorso sostenendo di essere liberiano di nazionalità. O meglio, liberiano oppure nigeriano secondo le prospettive, le circostanze e soprattutto le opportunità offerte dal destino. Sosteneva anche di non essere in possesso di alcun documento di identità o di viaggio.

L’unica cosa certa, ben visibile, era un tumore che si era installato sulla parte sinistra del suo volto che gli diminuiva la facoltà di parlare e di vedere correttamente. La croce rossa nigerina prima e il servizio pastorale dei migranti poi, hanno accompagnato gli sforzi dei servizi medici locali per lenire il dolore e tentare un’improbabile guarigione. Fin dal suo arrivo a Niamey sosteneva di chiamarsi Steven e di essere portatore di una duplice ed effimera nazionalità.

Col passare dei giorni e la vicinanza di alcuni migranti liberiani, ha esibito un passaporto nel quale emergevano dettagli imprevedibili del suo percorso migratorio. Confezionato ad Addis Abeba in Etiopia, con un timbro dell’arrivo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, l’altro ad Abidjan nella Costa d’Avorio. Mancava quello dell’ingresso nel Niger dove era arrivato perché gli avevano detto che a Niamey ci si prende cura dei migranti. Ed è così che Steven, si è trasformato successivamente in Godwin, il nome scritto sul passaporto che attestava la sua nazionalità nigeriana. Godwin, Dio vince, era il nome chi si portava addosso come il gonfiore sul volto che non accennava a diminuire finché cominciò la chemioterapia nell’ospedale di oncologia di Niamey. Passavano i mesi, la terapia e la cura di medicine con scarsi risultati perché il corpo sembrava stanco del tanto camminare nel mondo.

Godwin si è spento l’altro giorno, un giovedì sera verso le 19 e, con celerità si è fatto il possibile perché egli abbia una degna sepoltura nel cimitero cristiano della capitale. Un breve soggiorno all’obitorio del cimitero musulmano e poi, dopo la pulizia del corpo, Godwin è stato adagiato in un feretro di legno leggero e arricchito da una croce scolpita nella parte superiore della cassa. Il trasporto sul retro di una pick up fino al cimitero e poi l’ingresso per l’ultima migrazione, la più impegnativa di tutte, dopo una breve preghiera di commiato e la benedizione della tomba. Il feretro è stato deposto nella nuda terra e poi ricoperto di sabbia.

Un paio di amici che l’hanno accompagnato in questi mesi e soprattutto lei, la terra che nel silenzio materno l’ha preso in sé. Accanto alla tomba non c’era nessun membro dell’ambasciata della Nigeria e dell’associazione dei nigeriani di Niamey, malgrado fossero informati del decesso. Godwin, il Dio che vince, era morto abbandonato da tutti. Solo il grembo della terra si è riaperto e l’ha custodito, per l’eternità.

Niamey, 14 gennaio 2024