Mondo

Le voci degli ebrei contro il massacro di Gaza: la pressione più efficace su Israele

Fermare la catastrofe umanitaria che si sta sviluppando a Gaza è in potere soltanto del governo di Israele, che ne è anche la causa principale e che sembra mirare ad inasprirla sempre più. L’orribile attacco di Hamas contro i civili israeliani del 7 ottobre scorso viene usato dal governo di Israele come motivo per imporre ai civili palestinesi residenti a Gaza, e anche in Cisgiordania, un attacco ancora più orribile che ha causato ormai un numero di vittime palestinesi venti volte maggiore di quello delle vittime israeliane del 7 ottobre, e che mette a rischio di sopravvivenza una intera popolazione.

In questo contesto drammatico, nel quale la condanna quasi unanime dell’assemblea dell’Onu rimane inascoltata, la voce delle organizzazioni ebraiche anti-sioniste riceve una attenzione inferiore a quella che merita. L’ideologia dello “stato degli Ebrei” ha tutto l’interesse a tacitare o ignorare queste voci, che minano alla base la pretesa israeliana di rappresentare gli Ebrei di tutto il mondo. Una tra le organizzazioni più riconosciute è B’Tselem, che ha sede a Gerusalemme e deriva il suo nome dal brano della Bibbia scondo il quale gli uomini, tutti, sarebbero stati creati uguali, “a immagine di Dio” (B’Tselem Elohim). Sul sito di B’Tselem appaiono analisi molto puntuali e giuridicamente fondate della strage in corso a Gaza insieme ad appelli all’Onu e agli Usa perché si adoperino per fermare la strage. Molte organizzazioni meno note si raccolgono intorno a B’Tselem per far sentire la propria voce.

Messaggi analoghi vengono da organizzazioni ebraiche della diaspora, la più importante delle quali è probabilmente Jewish Voices for Peace che ha la sua sede a Berkeley, in California. La diaspora raccoglie a tutt’oggi la maggioranza degli Ebrei nel mondo, ed ha per questo un grandissimo peso culturale e morale. Nella stessa comunità ebraica italiana si sono levate soprattutto in passato voci ebraiche altissime contro il sionismo, che oggi sembrano dimenticate: Natalia Ginzburg, ad esempio, ricordava che il suo primo marito, Leone Ginzburg, ebreo ucraino naturalizzato italiano, barbaramente ucciso durante l’occupazione tedesca, sosteneva che “dal sionismo può nascere soltanto un nuovo stato imperialista”; e lei stessa diceva che l’affermazione della diversità degli ebrei costituiva “un razzismo alla rovescia”. Primo Levi, all’epoca della guerra in Libano, aveva rilasciato a Gad Lerner una intervista fortemente critica della politica di Israele, dall’evocativo titolo Se questo è uno stato.

Le organizzazioni ebraiche anti-sioniste, al di là del loro merito intrinseco, dimostrano con la loro azione quotidiana che la critica del sionismo e della politica israeliana non è antisemitismo, e smascherano le pretese dei retrivi governi israeliani di rappresentare “gli Ebrei” e di poter condannare come razzismo antisemita qualunque critica esterna. Al tempo stesso, la voce di queste organizzazioni dovrebbe essere tenuta presente da tutti coloro che in opposizione al governo israeliano rischiano di ricadere in stereotipi veramente antisemiti, perché riconoscere la pluralità interna ad un gruppo è di per sé stesso un antidoto contro il razzismo.

E’ importante sostenere l’azione di queste organizzazioni e diffonderne il più possibile i contributi, perché questo costituisce forse la pressione più efficace sia sul governo di Israele, che su quelli degli stati che lo sostengono. Non si deve sottovalutare che sul supporto ad Israele il Presidente Biden rischia di perdere la rielezione, per la pressione congiunta degli elettori di origine araba e degli ebrei anti-sionisti.