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Dollaro, dominio dei sistemi finanziari e controllo sulle reti internet. Così gli Usa utilizzano l’economia come arma di guerra

È uscito un libro che al ministero dell’Economia andrebbe letto con una certa attenzione. Via XX settembre sta infatti valutando la vendita (anche) della rete Telecom Sparkle che gestisce le dorsali sottomarine in fibra ottica su cui transitano informazioni sensibili, al colosso statunitense del private equity Kkr. Il libro è disponibile solo in inglese, è scritto dai due docenti universitari statunitensi Henry Farrell e Abraham Newman e si intitola Underground Power. How America Weaponized the World Economy.

Nel volume si parla fondamentalmente di due cose. La prima è il controllo pressoché totale degli Stati Uniti sulle istituzioni finanziarie internazionali e delle prerogative che ne derivano. La seconda riguarda il sistema di controllo sulla rete di informazioni globale, implementato dagli Usa dal 2001 in poi. Sia grazie capacità tecniche supportate da ingenti dotazioni finanziarie (la Nsa che ha sede a Washington è la più potente agenzia di spionaggio informatico al mondo), sia grazie al controllo, diretto o indiretto dei “fili del telefono”, i cavi in fibra ottica che corrono al di sotto degli oceani, le cosiddette autostrade informatiche. Combinati insieme i dominii su questi due regni garantiscono al paese un potere immenso e senza precedenti. Il rischio, secondo i due autori, è principalmente quello di cedere alla tentazione di abusarne, come in qualche misura sta già accadendo.

Al libro ha dedicato una recensione anche il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman che fa un esempio molto semplice per spiegare ciò di cui si sta parlando. Immaginate che un’azienda del Perù voglia concludere un affare con un’impresa della Malaysia. In teoria gli Stati Uniti non c’entrano, né dovrebbero centrare, nulla. Ma i dati della transazione quasi sicuramente passeranno attraverso qualche infrastruttura americana, o appartenente ad aziende su cui Washington esercita comunque un controllo sostanziale. Gli Usa, se vogliono, possono quindi avere le informazioni su questa operazione e, se la valutano contraria ai propri interessi, decidere di ostacolarla.

Come? Gran parte degli scambi commerciali internazionali avvengono in dollari, non esistono di fatto mercati in cui grandi quantità di ringgit malesiani possano essere scambiati direttamente in sol peruviani, le banche quindi usano i dollari. Nessuna transazione in dollari avviene con valigette di denaro fisico ma muovendo somme sui conti bancari. Per poterlo fare qualsiasi istituto di credito deve avere un qualche collegamento con il sistema finanziario americano di cui è quindi tenuto a seguire le regole. E il rischio di essere tagliati fuori da questo network è esiziale per qualsiasi banca al mondo. Il che spiega anche perché eventuali embarghi decisi dagli Usa, vedi quello feroce su Cuba, possano risultare così devastanti, bloccando anche commerci con paesi che nulla c’entrano.

Gran parte dei collegamenti in fibra ottica passano dagli Stati Uniti. Si è calcolato che appena l’1% delle comunicazioni internet eviti del tutto il passaggio dal suolo americano. I choke points, “le strettoie” sono quasi tutti qui. E quando i cavi “atterrano” in territorio statunitense, il traffico dei dati viene monitorato e analizzato. In tutti i punti di approdo il governo americano ha installato apposite attrezzature per dividere il flusso di informazioni. Una parte prosegue verso i destinatari originari, l’altra viene dirottata alla Nsa dove viene analizzata. In sostanza gli Usa possono monitorare pressoché qualsiasi informazione scambiata nel mondo. Lo spionaggio delle comunicazioni non è prerogativa esclusiva degli Usa, lo fanno certamente anche la Cina e, in minor misura, altri paesi. Tuttavia, per le ragioni in parte già ricordate, non con la forza d’urto americana. Pechino non può infatti combinare la disponibilità di informazioni con i poteri che derivano dal controllo del sistema finanziario mondiale. Lo yuan non è il dollaro ed è lontano dall’esserlo.

Il caso scuola di Huawei – L’esempio più eclatante di quel che si può fare unendo tre poteri costituiti da dominio sul dollaro e sul sistema finanziario, controllo dei dati e primato nelle proprietà intellettuali di alte tecnologie riguarda la “guerra” scatenata contro la compagnia tlc cinese Huawei che, qualche anno fa, si apprestava a fornire a fornire tecnologia 5G e mezzo mondo. Una prospettiva terrorizzante per Washington a cui Pechino avrebbe potuto così sottrarre il controllo delle comunicazioni. Come ricostruiscono i due autori gli Usa hanno prima appreso che Huawei aveva avviato trattative con l’Iran violando le sanzioni. Quindi, sfruttando le sue uniche prerogative di accesso alle informazioni del sistema bancario internazionale, hanno scoperto che la responsabile finanziaria della compagnia cinese Meng Wanzhou aveva commesso una frode bancaria nascondendo ad Hsbc le interlocuzioni con Teheran.

Su richiesta americana le autorità canadesi hanno quindi arrestato la dirigente che è stata in seguito incriminata, insieme a Huawei, dal dipartimento di Giustizia Usa. Washington ha poi sfruttato la minaccia di restringere l’export verso gli Usa per convincere il colosso dei semiconduttori taiwanese TSMC a tagliare fuori il gruppo cinese dalle tecnologie dei chip più avanzati. In conclusione Huawei ha perso la posizione di vantaggio che si era costruita nel mondo nel campo della fornitura di tecnologie 5G e che se ben sfruttata, avrebbe potuto sposare a favore di Pechino il controllo sui grandi flussi globali di informazioni.

Rete delle mie brame – Un altro strumento del potere a stelle e strisce è il sistema di messaggistica bancaria Swift. La società ha sede in Belgio ma è di fatto una “provincia” americana, visto che gran parte delle banche che ne fanno parte sono statunitensi o comunque collegate al sistema finanziario americano. Dopo l’11 settembre 2001, Swift ha iniziato a condividere con Washington, su sua richiesta, una crescente mole di informazioni. Nel 2012 gli Usa hanno escluso da Swift l’Iran, con conseguenze pesanti per il paese che ha quindi iniziato a costruirsi la sua piccola rete alternativa. Lo stesso sta ora facendo la Cina. Dopo l’invasione dell’Ucraina anche molte banche russe (non tutte) sono state tagliate fuori da questo network, così Mosca ha cercato di correre ai ripari collegando un circuito sviluppato autonomamente con quelli di Cina ed Iran. Non è la stessa cosa, per ora.

Ma proprio qui sta uno dei principali rischi individuati dai due autori. È tutto sommato buona cosa che queste facoltà, efficaci ma relativamente incruente, possano essere usate per arginare mire espansionistiche di paesi spesso non particolarmente democratici. Ma farvi un ricorso eccessivo spinge gli altri paesi a sviluppare contromisure e a “sganciarsi” da questi circuiti. Se patrimoni in dollari vengono congelati nelle banche, persino la valuta americana potrebbe finire per vedere offuscata l’affidabilità che i paesi di tutto il mondo le attribuiscono. La decisione di Gran Bretagna, Ue e Stati Uniti di congelare le riserve in euro, dollari e sterline (in tutto circa 600 miliardi) della banca centrale russa, ha lasciato il segno. Investitori cinesi, russi, mediorientali, etc, potrebbero guardarsi bene dal sottoporre le loro fortune all’insindacabile volontà americana.