Giustizia & Impunità

Csm, il suq delle correnti blocca le nomine alla Scuola della magistratura: il veto delle destre sull’ex presidente della Consulta Sciarra

C’è una praticamaledetta” che da mesi tiene in ostaggio il Csm. Un pacchetto di nomine non “mediatiche” come quelle dei capi di grandi Procure o Tribunali, ma altrettanto delicate: la scelta dei componenti del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura, l’ente responsabile della formazione e dell’aggiornamento professionale delle toghe italiane. Si tratta di posti molto ambiti, per i vantaggi economici (un gettone di presenza da cinquecento euro a seduta) ma soprattutto per la possibilità di incidere sull’orientamento politico-culturale di giudici e pm, scegliendo le tematiche e i docenti dei corsi obbligatori. Su quelle poltrone è in corso una faida senza precedenti che vede le correnti dei magistrati e i consiglieri laici litigare a colpi di veti incrociati, paralizzando la procedura nel tentativo di assicurarsi il controllo della Scuola: la Sesta commissione, competente a formulare le proposte al plenum (l’organo al completo) è già stata convocata sei volte senza arrivare al dunque e l’ultima notizia è che se ne riparlerà a gennaio. Uno stallo grottesco di cui potrebbe fare le spese anche un nome eccellente: Silvana Sciarra, 75 anni, presidente della Corte costituzionale fino a poche settimane fa, candidata numero uno alla presidenza dell’ente ma invisa al centrodestra, che la considera troppo progressista e insiste per un profilo “d’area”. Una conseguenza certa, intanto, c’è già: l’attuale direttivo, in scadenza il 30 gennaio 2024, non sarà rinnovato in tempo e quindi dovrà operare in regime di proroga. Ma andiamo con ordine.

Al Csm spetta nominare sette membri del Comitato su 12: sei magistrati e un professore universitario. Gli altri cinque (un magistrato, due prof e due avvocati) sono scelti dal ministro della Giustizia. Le candidature per i posti assegnati da palazzo dei Marescialli sono arrivate ai primi di settembre: corrono ben 85 tra giudici e pm e 62 accademici. Verso fine ottobre, quando la pratica è approdata in Commissione, i consiglieri togati Roberto Fontana, Mimma Miele e Andrea Mirenda avevano lanciato un appello ai colleghi chiedendo trasparenza e meritocrazia nella selezione, i cui esiti, in passato, spesso hanno premiato nomi noti delle correnti senza curriculum di particolare valore (tanto che le nomine del direttivo uscente sono state annullate dal Tar e dal Consiglio di Stato). Anche a questo giro, però, la procedura è stata accompagnata da polemiche, a partire dalla scelta della Commissione di convocare in audizione solo trenta tra i magistrati candidati (appena un terzo del totale), individuati in base a criteri ignoti. A ciò si è aggiunta una denuncia pubblica del togato indipendente Mirenda, unico eletto senza l’appoggio delle correnti: ancora prima delle audizioni, ha rivelato, nei corridoi del Csm si davano già per scontate le designazioni di storici esponenti dei gruppi. In particolare, per i progressisti di Area si indicavano il pm romano Mario Palazzi e l’ex presidente della Corte d’Appello di Brescia Claudio Castelli, per i centristi di Unicost il giudice catanese Mariano Sciacca.

Manco a dirlo, poche settimane dopo è proprio su quei nomi che le trattative si sono arenate. Area reclama per sè due posti e vorrebbe limitare a tre quelli di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice, vicinissima (anzi quasi organica) alla maggioranza di centrodestra. Negli ultimi giorni, però, corre voce che i progressisti siano pronti a rinunciare a Castelli (lasciando quattro posti a Mi) per garantire l’ingresso di Palazzi, pm del caso Consip, a titolo di risarcimento per la sua corsa fallita (a sorpresa) alle ultime elezioni del Csm. Manovre che Mirenda, in un esplosivo colloquio con Repubblica, descrive citando alcuni conciliaboli tra capi-corrente ascoltati a palazzo dei Marescialli (e finora non smentiti): “Io ne voglio tre, voi ne prendete due e uno”. “Però io te ne do quattro se tu mi fai passare quello mio”. Un suq che riporta ai tempi di Luca Palamara e coinvolge anche la nomina dell’unico professore universitario attribuito al Consiglio superiore. Tra i 62 candidati, il nome che spicca per prestigio è quello di Sciarra: se la prescelta fosse lei, quasi certamente il nuovo Comitato direttivo la eleggerebbe a presidente della Scuola. Una scelta di continuità, perché in quel ruolo finora si sono succeduti soltanto ex capi della Consulta (Valerio Onida, Gaetano Silvestri e Giorgio Lattanzi). La giuslavorista pugliese, che corre con l’avallo del Quirinale, è però invisa al centrodestra: eletta alla Corte con i voti di Pd e Movimento 5 stelle, è considerata un profilo troppo progressista.

Così i laici di Lega e Fratelli d’Italia (rappresentati in Commissione da Claudia Eccher, legale di Matteo Salvini, e dall’ex deputata Isabella Bertolini) si sono aggrappati alla forma: la candidatura di Sciarra, dicono, è stata una sgrammaticatura istituzionale, perché presentata quando era ancora in carica alla Corte. Con quest’argomentazione anche l’accademica è finita nel tritacarne dei veti: i consiglieri di destra spingono per escluderla dalla rosa e lanciano nomi alternativi, in particolare quello di Tommaso Edoardo Frosini, costituzionalista all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli. La strategia della maggioranza parlamentare, a quanto apprende ilfattoquotidiano.it, è di togliere Sciarra dai giochi indicando al suo posto un professore meno titolato, cosìcché il posto di presidente della Scuola vada a uno dei due studiosi che verranno scelti dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, non vincolato (a differenza del Csm) dall’elenco delle candidature. Il nome sulla bocca di tutti è quello di Nicolò Zanon, ex vicepresidente della Corte (nonché ex membro del Csm in quota Forza Italia) che negli ultimi giorni si è fatto notare per aver criticato la sentenza sulle intercettazioni dell’ex deputato Cosimo Ferri, violando il segreto della camera di consiglio. Dal centrodestra, però, assicurano che il “prescelto” non è lui e le carte sono ancora coperte. Mentre le istituzioni restano commissariate.