Mafie

I colpi di teatro di Vespa sulle vittime di mafia: anche lui si fa interprete della ‘normalizzazione’

Ho finalmente capito perché il programma di Bruno Vespa, Porta a Porta, è considerato la “Terza Camera” ovvero un vero e proprio pezzo di Stato. La puntata di due giorni fa dedicata alle vittime di mafia è stata magistrale nel contribuire all’opera di “normalizzazione” avviata in questi anni ed ora, dopo le schiaffeggianti motivazioni della Cassazione sul processo “Trattativa” arrivata al parossismo. La “normalizzazione”, di cui Bruno Vespa è stato abilissimo interprete, pretende che resti una verità soltanto, una verità dura ma rassicurante, una verità-falsa: c’è stato un tempo nel quale mafia, pezzi importanti di imprenditoria, politici corrotti e magistrati collusi hanno fatto marcire lo Stato ed insanguinato il Paese, ma grazie alla resistenza della parte onesta, capace e coraggiosa della Nazione, questi malviventi sono stati sgominati ed a quel punto, come su una tovaglia linda e profumata, la “seconda Repubblica” è stata finalmente apparecchiata. Applausi!

Questa verità-falsa, questo gioco di prestigio, insiste sul concetto di discontinuità, di rottura tra un “prima” (corrotto e mafioso) ed un “poi” mondato e restituito ai cittadini. Dimenticando colpevolmente la lezione del Gattopardo: l’Italia, purtroppo, è il Paese della continuità non della rottura. La “Seconda Repubblica” non è altro dalla “Prima”, ma è quel che della “Prima” è sopravvissuto tenacemente al tentativo di una parte dello Stato di far valere il principio di legalità sui crimini commessi durante i primi cinquant’anni di Repubblica. Questa parte di Stato, quella ingenuamente serva del principio di legalità e della Costituzione, è quella da allora più mortificata, è quella dei “Giudici ragazzini” nelle parole sprezzanti di Cossiga, lo stesso che poi avrebbe usato parole altrettanto violente contro Gian Carlo Caselli perché si ostinava a ricordare all’Italia che Andreotti non era stato assolto, ma riconosciuto colpevole di associazione a delinquere con Cosa Nostra, reato provato fino al 1980 e pertanto prescritto.

Ed infatti, guarda il caso, è proprio su Andreotti che la trasmissione ha svelato la sua vera natura: uno spettacolo di illusionismo, con fumi artificiali, botti e flash accecanti. Quando Di Matteo evoca il processo Andreotti, il Mago-Vespa è pronto col prestigio: mi pare di ricordare che il senatore Andreotti sia poi stato completamente prosciolto da queste accuse. Come a dire, tanto si sbagliò Caselli allora, quanto vi siete sbagliati voi successivamente. Ma come?! Da lì è un crescendo di colpi di teatro.

Quando Nino Di Matteo evoca la relazione di minoranza Terranova-La Torre del ’76 in Commissione Antimafia per stigmatizzare la responsabilità della politica di esprimere giudizi netti sulle condotte di eletti e candidati, senza aspettare le sentenze della Cassazione, ma anticipando il giudizio penale, il Mago-Vespa opera un altro prestigio cercando di mettere in bocca al magistrato l’ammissione di colpa, ovvero l’aver esercitato l’azione penale per attribuire responsabilità politiche. Il Mago-Vespa appare persino spregiudicato nel prestigio quando cita il dramma del consigliere Loris D’Ambrosio, ma al contrario: lasciando intendere che la colpa del suo grave malessere fosse dei magistrati che indagavano e non dell’aver scoperto egli (grazie ai magistrati che indagavano!) di essere stato probabilmente un ingenuo ed utile scriba per accordi indicibili.

Ma l’apice del prestigio è stato lo scambio con Mario Mori. Perché Mori e De Donno iniziarono a parlare con Vito Ciancimino? Perché andarono da lui dicendogli ma cosa è questo muro contro muro, cosa vogliono questi per smetterla con le stragi? Perché a Palermo nessuno fino a quel momento aveva fatto indagini! Lo stato investigativo era disastroso, nessuno si raccapezzava… Insomma la mossa di parlare con Ciancimino era stata necessaria per infilare il filo (delle indagini) della cruna dell’ago, dopo anni di nulla.

E così in un sol colpo (di scena!) sono spariti decenni di indagini di straordinario valore. Il duo Vespa-Mori ha letteralmente fatto sparire dalla storia chiunque pur di avvalorare quella falsa-verità. Con buona pace di Cesare Terranova e Lenin Mancuso, dei maxi processi di Bari e Catanzaro, di Boris Giuliano e del Colonnello Russo, di Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, di Peppe Montana (…) di Rocco Chinnici e del primo pool anti mafia… tutto sparito! Anche Pizza Connection, Buscetta, il Maxi processo, niente di niente. Sulla scena desertificata restano soltanto Mori, De Donno e Vito Ciancimino.

Il pubblico non fa a tempo a tirare il fiato, che il Mago-Vespa chiede a Mori se avesse agito senza comunicare a nessuno la sua iniziativa di parlare con Ciancimino e Mori, candidamente, risponde che no, aveva provveduto ad informare. Chi? Il capo del governo, il ministro della Giustizia e il presidente della Commissione Antimafia. E mentre il Mago-Vespa sorride sornione, calando il sipario a qualcuno deve essere venuto in mente che tra coloro a cui Mori riferì non c’è manco un magistrato, manco uno che per sbaglio si occupasse delle indagini sulla strage di Capaci. Il pubblico già si alza sazio e non c’è modo di chiedere se così non si comportino i Servizi Segreti e non la Polizia Giudiziaria. Fumo e flash accecanti. Come nel 1993, quando scoppiavano le bombe, ma, ha ricordato Di Matteo, per qualcuno erano “Bombe del dialogo”.

E tanti saluti ai morti ammazzati, bambini compresi. The show must go on! Applausi!