Economia & Lobby

Il governo celebra il rating BBB di Standard & Poor’s. Ma c’è davvero ragione di festeggiare?

di Andrea Vivalda

In questi giorni il governo Meloni e – all’unisono – i maggiori media a suo supporto stanno fastosamente presentando l’assegnazione all’Italia del rating ‘BBB’ da parte di Standard and Poor’s come un riconoscimento positivo, da parte dei mercati, dell’azione di governo e della legge di bilancio presentata dal Consiglio dei ministri, ma è davvero così? Per comprenderlo, occorre fare un passo indietro e capire come funziona il meccanismo di rating e che significato ha.

Standard & Poor’s (S&P) è un’agenzia di ricerche ed analisi finanziarie che, come altre analoghe (Moody’s, Fitch), annualmente assegna punteggi di affidabilità (o “rating”) ai titoli azionari e obbligazionari presenti sul mercato, fra i quali anche i titoli di stato di quasi tutte le nazioni mondiali. Il rating assegnato può quindi effettivamente essere anche letto come misura della fiducia dei mercati nei confronti delle politiche di un dato paese, ma su quale scala si muovono i punteggi?

Il rating ‘BBB’, quello assegnato all’Italia da parte di S&P pochi giorni fa, corrisponde all’ultimo scalino prima del ‘BBB-‘: il livello sotto al quale l’agenzia considera gli investimenti “sconsigliati”. Al di sopra del ‘BBB’ ci sono invece ben nove livelli, sino ad arrivare alla vetta rappresentata dal rating ‘AAA’. La prima considerazione da fare è dunque che il rating che S&P ci ha assegnato non è particolarmente lusinghiero: un solo gradino sopra a quello minimo prima di essere considerati un “investimento sconsigliato” e ben nove strati al di sotto della valutazione migliore, alla quale tendono invece svariati dei nostri “cugini” europei: Germania ‘AAA’, Francia ‘AA’, Spagna ‘A’, Irlanda ‘AA’, per citarne alcuni. A livello ‘BBB’ siamo invece in compagnia, fra gli altri nel mondo, di Bulgaria e Messico. Va poi aggiunto che, solo due mesi fa, l’agenzia di rating Moody’s ci ha invece assegnato il rating ‘BBB-‘, cioè proprio l’ultimo livello prima del girone degli “inaffidabili”.

Al dato 2023 non particolarmente lusinghiero, per poterne delineare un’interpretazione corretta, va poi associato il dato storico: l’Italia non è stata “promossa” al ‘BBB’ quest’anno, è stato bensì semplicemente confermato il rating che ci contrassegna in modo costante da ben sei anni, attraversando i governi Gentiloni, Conte 1, Conte 2 (con il punteggio mantenuto nonostante la pandemia) e Draghi: non quindi un plauso al governo Meloni da parte di S&P, bensì una semplice conferma del livello già mantenuto dai quattro governi che l’hanno preceduto.

Alla luce di quanto sopra dunque, i veri “fasti” sono ben lontani sulla scala dei punteggi, ma anche “antichi” sulla scala del tempo se si pensa che nel 1986 il rating riconosciuto all’Italia era “AAA”, per poi crollare rovinosamente di nove scalini fino al “BBB” fra il 2008 ed il 2011 per gli effetti delle disastrose politiche dell’ultimo governo Berlusconi.

Certamente poteva andare peggio, avrebbero potuto declassarci al ‘BBB-‘, ma considerato che – salvo la caduta di un livello in epoca Renzi recuperata poi in era Gentiloni – l’Italia “galleggia” sull’orlo del ‘BBB’ dal 2011, la conferma di questo rating non può certamente essere considerata come una volontà dei mercati e di S&P di premiare in modo specifico l’operato del governo Meloni, così come la comunicazione di palazzo Chigi e dei media compiacenti vorrebbe far credere in questi giorni. Insomma, propaganda a parte, no: non c’è affatto ragione di festeggiare.

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