Diritti

Le carriere alias a scuola sono un atto di civiltà: chi le contesta non conosce la realtà

Nel 2016, quando ancora la maggior parte della popolazione italiana pensava che le persone transgender cadessero dagli alberi adulte, quando i centri di affermazione di genere non erano nemmeno menzionati sui siti delle aziende ospedaliere perché “meglio non farlo sapere”, quando era più apprezzabile essere consideratə un “disturbo psichiatrico” che delinquenti, io pubblicamente ho detto “mia figlia è transgender”. Aveva 6 anni.

Avevo faticato a trovare le parole perch* semplicemente non c’erano. Non c’erano molte cose anni fa. E quando le ho trovate, le parole, e ho iniziato a renderle pubbliche attraverso il mio blog prima e poi coi miei libri, con il TedX, le interviste ecc, le persone più vicine (che poi son diventate più lontane) mi hanno molto criticato per aver esposto la mia famiglia, per aver dato quell’etichetta a mia figlia. Mia figlia era transgender a due anni ed è transgender oggi che ne ha 15. Come era ovvio che fosse. Con lei tuttə ə bambinə (oggi adolescenti) le cui famiglie negli anni mi hanno contattato attraverso il mio blog, Mio Figlio in Rosa, che ho aperto nel 2016 proprio per offrire parole e storie in cui riconoscersi. Nessunə ha “cambiato idea”. Perché l’identità non è una idea.

In Italia ancora oggi se sei transgender devi nasconderti, non devi mostrarlo (anche se poi paradossalmente devi DI-mostrarlo). Meglio comunque non esserlo, come se si potesse decidere. Perché è più facile evitare che educare, anche questo è un vecchio adagio. Parlarne pubblicamente ha fatto sentire altre persone meno sole e più forti. Ecco quindi che nel giro di qualche anno si è cominciato a rivendicare diritti. Tra questi anche il diritto alla carriera alias, la possibilità cioè che le scuole offrono affinché venga rispettata la privacy delle persone transgender attraverso l’uso di un nome di elezione che permetta di vivere serenamente il percorso scolastico.

Un atto di civilità non un falso in atto pubblico. Eppure c’è chi, arroccatə sulla torre d’avorio del proprio privilegio, continua a gridare all’indottrinamento e al contagio. Quanto piacciono queste parole! La realtà è molto semplice: che esista un indottrinamento riguardo affettività e identità è evidente, è ciò che subiamo da sempre attraverso il costante bombardamento di etero cis normatività binaria – se bianca meglio – attraverso testi scolastici, modelli di comportamento, cinema, televisione, ecc. Indottrinamento è descrivere la realtà come unica, composta da persone eterosessuali quasi sempre bianche che si riconoscono nel genere assegnato alla nascita, che sognano il matrimonio, con il padre che lavora e la madre che bada alla famiglia; una manipolazione, una falsificazione che ci viene propinata in tutte le salse dalla nascita alla morte.

Ma la realtà è molto diversa e legittimare nelle scuole le reali esistenze delle persone per evitare bullying e discriminazione non è indottrinamento: è educazione civica. Stiamo assistendo in questi giorni all’ennesima scesa in campo della cavalleria rusticana di turno. Questa volta è composta dai consiglieri e dalle consigliere della Regione Lombardia. Sono andata a cercarmelə unə per unə, chi fossero e che cosa facessero. Abbiamo amministratrici condominiali, ragionieri, avvocatə, imprenditori agricoli, economisti, meccanici – no, nessun sociologə, psicologə, bioeticista, antropologə, nessuna persona che in autonomia abbia fatto studi di genere, altrimenti non sarebbero lì. L’unico modo per portare avanti il loro discorso è travisando articoli di legge e riesumando articoli scientifici obsoleti.

Peccato che, come afferma Matteo Mammini, avvocato specializzato nella tutela dei diritti delle persone LGBTIQ+ il diritto allo pseudonimo non solo è riconosciuto dal codice civile (Art. 9 c.c.) ma è già ampiamente utilizzato nel nostro sistema giuridico, si pensi ai concorsi pubblici dove il nome anagrafico è sostituito sugli atti prodotti dalle persone candidate con un codice numerico, il nome d’arte di un artista… È veramente noioso dover ancora stare a ribadire concetti ormai assodati nella maggior parte dei paesi democratici; è fastidioso questo bullismo istituzionale che pensa di schiacciarti attraverso la prepotenza; è imbarazzante vedere in maniera così plastica l’ignoranza.

Che la scuola debba essere una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni, lo afferma anche lo stesso Statuto dello Studente pubblicato dal Miur. Metterlo in discussione non cambia la realtà, sottolinea solo l’inadeguatezza della nostra classe politica.

Alle 18 in Piazzale Lombardia a Milano si terrà la manifestazione “Sono diritti, non capricci”, in difesa delle carriere alias nelle scuole