Società

La vicinanza del governo alle vittime di Caivano, Foggia e Tor Bella Monaca? Ipocrita e inutile

Caivano, Foggia, Tor Bella Monaca: violenza, degrado e cultura mafiosa, arriva la vicinanza di Meloni&C, ma è ipocrita e sarà inutile. I fatti con il loro portato di orrore si sono concentrati tutti in pochi giorni: lo stupro di gruppo a Caivano, probabile spia di una situazione tutt’altro che occasionale, il brutale assassinio della signora Francesca Marasco, tabaccaia nel centro di Foggia, città segnata da una violenza pervasiva e qualificata, l’aggressione ai danni di don Coluccia durante l’ennesima “passeggiata della legalità” promossa dal sacerdote da anni impegnato nel quartiere.

Meloni ha fatto sapere che andrà a Caivano, in tanti hanno telefonato a don Coluccia, la “sorella” Colosimo ha dichiarato che si recherà prontamente a Foggia e addirittura il suo vice presidente prediletto, il forzista Mauro D’Attis fin qui impegnato soprattutto in campagne elettorali, ha tuonato: andremo a Foggia a dichiarare guerra alla criminalità. Bontà sua!

Insomma: velocità, azione e facce dure, la maggioranza vuol far sentire la propria irresistibile presenza alle vittime e ai territori, con tale veemenza da mettere in fuga mafiosi e delinquenti assortiti. Ma è una impostura e presto (purtroppo) sarà evidente. La via per comprenderne la portata la indica lo stesso don Patriciello che, evocando le indimenticate parole di Giovanni Falcone, ha invocato un “esercito” di insegnanti a Caivano, altro che un assedio militare (suggerito invece dallo stesso De Luca, Governatore della Campania, che parla dell’inferno di Caivano, come se lo avesse scoperto ora).

Dove porta l’esercito di insegnanti? Ad una risalente e consolidata convinzione del movimento antimafia italiano e cioè che non esista vittoria possibile contro mafie, corruzione e degrado senza giustizia sociale, cioè senza diritti, che sono la premessa necessaria di quei doveri inderogabili di solidarietà sociale richiamati dalla nostra Costituzione.

Ma a sua volta la giustizia sociale presuppone un principio che è anche un bivio politico: l’uguale dignità di ogni essere umano, che fonda l’uguaglianza di tutti e ciascuno di fronte alla Legge. Questo principio è anche un bivio politico, perché rifiutandolo si riduce la democrazia ad una cosa simile al regolamento interno di un golf club: diritti e doveri buoni per chi fa parte del giro giusto. Per gli altri, tanti saluti.

Ed è questo il punto su cui salta l’impostura di questa destra al Governo (ma non “di” Governo): gli “Eredi-al-quadrato”, del Duce e di Berlusconi, proprio non ce l’hanno l’idea che ogni essere umano sia portatore della medesima dignità e che a partire da questo principio vadano sviluppate politiche e prese decisioni. Questa destra è portatrice di una idea opposta e cioè che il posto al sole debba essere per qualcuno e non per ciascuno (litigheranno poi tra loro se questo qualcuno debba essere individuato attraverso il sangue o il conto in banca, in una specie di “sangue&oro”) e a testimoniarlo sono proprio le parole vergognose di Giambruno e ancor più la vicenda De Angelis, solo apparentemente chiusa con le sue dimissioni. Le dimissioni, così come certe “scuse” successive, sono soltanto tattiche: arrivano dopo aver fatto lo “sbrego”, cioè dopo aver tirato la picconata per aprire una falla nella cinta costituzionale. Il danno è fatto, il veleno è in circolo.

Le parole sono pietre, quelle dette e quelle taciute (avete sentito Colosimo spiegare il suo amore per i brani musicali di De Angelis?). E intanto a Lamezia Terme è stato fondato il movimento “Mondo al contrario” che munge la propria ideologia dal manifesto di Vannacci ed è impossibile non pensare a Ciccio Franco e al “Boia chi molla” del 1970 a Reggio Calabria.

Ci sono argini sicuri fortunatamente e tra questi il Cardinal Zuppi, che ricordando qualche giorno fa il sacrificio di don Minzoni ha parlato così del fascismo: “significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente” e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che giovedì 31 agosto è andato a Torre Pellice in Piemonte per commemorare la prima presentazione pubblica del Manifesto di Ventotene, fatta proprio da Altiero Spinelli, 80 anni fa, nel 1943, nel retro di una farmacia: il fascismo era caduto, i confinati riprendevano a vivere, ma la guerra continuava, il nord Italia era occupato e tuttavia le parole di libertà, solidarietà e futuro avevano già ritrovato la strada.

Tra pochi giorni, il 3 settembre, sentiremo di nuovo gli “Eredi-al-quadrato” cimentarsi con la memoria del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: dubito che sarà per loro fonte di ispirazione l’ultima intervista che il generale concesse a Giorgio Bocca nell’agosto del 1983, quando lucidamente contro le mafie indicò a sua volta la via della giustizia sociale, cioè dell’uguaglianza: “Lo Stato assicuri come diritti ciò che i mafiosi elargiscono come favori”. Altro che autonomia differenziata: di autonomia emancipante abbiamo bisogno!