Giustizia & Impunità

Legittimo impedimento anche per raffreddore: il ddl di Forza Italia garantisce agli avvocati la fuga dal processo. L’Anm: “Effetti intollerabili”

Legittimi impedimenti come se piovessero, a disposizione degli avvocati per rimandare i processi all’infinito senza bisogno dell’ok del giudice. Nell’assalto alla giustizia in programma per l’autunno (tra prescrizione, intercettazioni, separazione delle carriere e abuso d’ufficio) la maggioranza apre un nuovo fronte: una proposta di legge di Forza Italia vorrebbe ampliare a dismisura i casi in cui ai difensori degli imputati dev’essere concesso il legittimo impedimento, cioè il diritto al rinvio dell’udienza per “assoluta impossibilità” a parteciparvi. Un istituto diventato celebre grazie a Niccolò Ghedini e Piero Longo, storici avvocati di Silvio Berlusconi, che l’hanno invocato svariate volte per sè e per il loro cliente allo scopo (mai nascosto) di raggiungere la prescrizione nei procedimenti a suo carico. Scontrandosi però con i giudici di tutta Italia, pronti a far notare come spesso gli impedimenti addotti (vedi alla voce “uveite”) fossero tutt’altro che “assoluti”. Così nel 2010 l’uomo di Arcore tentò di risolversi il problema con una legge ad hoc, bocciata prima dalla Corte costituzionale e poi dal referendum dell’anno successivo. Ora però i suoi parlamentari ci riprovano, se possibile alzando ancora il tiro: la proposta dei deputati Pietro Pittalis, Tommaso Calderone e Annalisa Patriarca (tutti e tre avvocati) garantisce il “diritto alla fuga dal processo” non più soltanto a premier e ministri, ma a ogni imputato. Basterà che il legale produca un qualunque certificato medico o dimostri di avere un qualsiasi altro “impegno professionale” in contemporanea all’udienza. Una rivoluzione che avrebbe effetti “intollerabili” sul sistema processuale, avverte il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia.

Per evitare abusi, infatti, oggi la legge lascia grande discrezionalità al giudice: l’articolo 420-ter del codice di procedura penale non definisce cosa si intenda per “assoluta impossibilità di comparire“, fatto salvo un comma (introdotto nel 2017) che garantisce alle avvocate il rinvio delle udienze nei due mesi precedenti e nei tre successivi al parto. E la Cassazione ha interpretato la norma sempre in modo piuttosto restrittivo: per costituire impedimento assoluto, ad esempio, una malattia “dev’essere tale da incidere sulla capacità di intendere e volere” del professionista, “impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività”. In linea di principio, quindi, non basta farsi certificare un raffreddore o un’emicrania da un medico amico. Se la proposta di Forza Italia entrerà in vigore, però, cambierà tutto: a prescindere da ogni valutazione del giudice, si legge, “si ritiene legittimamente impedito a comparire il difensore che tempestivamente abbia comunicato” una qualsiasimalattia” o “infortunio“, “attestati da certificati di medici di assistenza primaria o di medicina generale”.

Non solo: costituiranno sempre legittimo impedimento, a prescindere dal caso concreto, “la malattia o l’infortunio della prole di età inferiore ai tre anni, attestati da struttura pubblica o accreditata” o “la necessità di prestare assistenza a familiari in condizione di handicap grave” ai sensi della legge 104 del ’92, “ovvero affetti da patologie oncologiche o invalidanti”, dove per familiari si intendono “i parenti e affini entro il secondo grado in linea retta”. Infine, non bastasse tutto il resto, garantirà l’mpedimento anche “la concomitanza con altri impegni professionali idoneamente documentata”. Che tipo di impegni? La norma non lo specifica, quindi tutti: qualsiasi altra udienza, o magari anche un appuntamento con un cliente o la partecipazione a un corso di aggiornamento. Al momento, invece, la giurisprudenza della Cassazione prevede che per ottenere il rinvio l’avvocato “indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo, rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato e l’impossibilità di avvalersi di un sostituto“.

Nella relazione al testo i deputati forzisti scrivono che le norme ipotizzate sono state “fortemente sollecitate dall’avvocatura“, in particolare dopo il caso – assai discusso nei mesi scorsi – di una penalista romana a cui fu negato il rinvio dell’udienza per un day hospital del figlio. “A noi interessa creare un sistema di regole per consentire agli avvocati di usufruire delle stesse garanzie dei magistrati”, spiega Pittalis, vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, al fattoquotidiano.it, pur ammettendo che il testo è “una base di partenza perfettibile” e che l’intenzione è di “evitare qualsiasi forma di abuso”. Qualora non si trovasse un’intesa sulla calendarizzazione, però – anticipa lo stesso Pittalis – la proposta si trasformerà in un emendamento al ddl sulla giustizia penale presentato dal ministro Carlo Nordio (su cui potrebbero facilmente convergere anche i voti di Azione e Italia viva). Insomma, l’intenzione è di andare fino in fondo. Una prospettiva che preoccupa la magistratura: “Nei termini in cui è presentata, la proposta è di una tale ampiezza e genericità da rischiare di causare situazioni sistematicamente intollerabili”, dice al fatto.it il presidente dell’Anm Santalucia, che definisce il ddl “eccentrico”. I “nuovi” impedimenti previsti, infatti, non sono affatto “assoluti” come prevederebbe il codice: scritta in questo modo, la nuova norma andrebbe a coprire “qualunque tipo di malattia o di disturbo intesa in senso nosografico, compresa un’emicrania”, avverte il magistrato. Sottolineando, inoltre, che la professione dell’avvocato “non si esaurisce nell’andare in udienza, come quella di un cancelliere: il legale che ottenesse il rinvio per una di queste nuove previsioni resterebbe libero di svolgere tutto il resto della sua attività”. Avvicinandosi alla prescrizione: in caso di rinvio per legittimo impedimento, infatti, il termine di estinzione del reato può restare sospeso per un massimo di sessanta giorni. Se l’udienza viene fissata più in là (come quasi sempre avviene) il resto del tempo è guadagnato. O buttato via, che dir si voglia.