Lavoro & Precari

Emergenza estate? No, la crisi dei pronto soccorso ormai è strutturale: “Medici in fuga, il sistema è tutto da rifondare. Soluzioni? Aprire agli specializzandi”

“Ad agosto le cose peggiorano sempre, siamo ancora meno. Quest’anno praticamente non siamo riusciti neanche a fare il piano ferie. Servono nuove risorse, sennò restiamo sempre gli stessi quattro gatti. Se non interveniamo con riforme strutturali e continuiamo solo a tappare i buchi, il sistema è destinato a fallire“. Per Fabio De Iaco, presidente della Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza (Simeu) e Direttore di pronto soccorso all’ospedale Maria Vittoria di Torino, l’estate è fonte di grandi preoccupazioni. In una condizione di emergenza reiterata e costantemente in peggioramento, trovarsi a gestire una mole di lavoro così gravosa senza neanche avere a disposizione l’organico al completo, già di per sé molto limitato, provoca ansia ai camici bianchi. “Le ferie si pagano due volte“, si usa dire tra i medici del Sistema sanitario nazionale (Ssn). E vale soprattutto per quelli che lavorano nei pronto soccorso. Lasciare un reparto già sguarnito, seppur per poco tempo, aumenta i carichi di lavoro sia per sé stessi che per i propri colleghi, trasformando una condizione di emergenza in una condizione di crisi. Per questo De Iaco, già a primavera, parlando a ilfattoquotidiano.it, si interrogava senza risposta su come riuscire a garantire le ferie agli specialisti del suo reparto. Di fronte a un Ssn che sanguina, sempre meno provvisto di risorse umane e materiali da impiegare negli ospedali e sul territorio, Simeu chiede al governo innanzitutto la volontà di riformare il sistema. Poi, i fondi. I tavoli tecnici con il ministero della Salute sono in corso, ma il tempo stringe. Dove è già possibile, è necessario intervenire subito, magari chiedendo un aiuto all’Università e ai suoi specializzandi.

Dottore, agosto è arrivato. È andata come si aspettava?
Purtroppo i pronto soccorso continuano a navigare a vista e quindi si prospetta l’estate di sempre. Solo che i problemi continuano a peggiorare col passare del tempo. Quest’anno il piano ferie praticamente non l’abbiamo fatto. Nonostante i colleghi si limitino nelle richieste, perché sanno che altrimenti non possiamo fronteggiare questi ritmi, facciamo fatica a pianificare. Siamo pochi, forse la metà o poco più di quelli che dovremmo essere. In queste condizioni, star dietro ai diritti degli specialisti, dei lavoratori, è impossibile. Cerchiamo di diminuire le presenze là dove si può fare, ma aumentando in maniera impressionante il carico di lavoro per quelli che restano. È pesante. La crisi di vocazione che porta alla mancanza di medici di pronto soccorso è una conseguenza diretta delle condizioni di lavoro in cui operano gli specialisti.

E questo comporta che i camici bianchi continuino a fuggire dal Ssn. Come tentate di arginare i problemi dati dalla carenza di organico?
Le dimissioni continuano, sì. Le uscite dal Ssn sono nettamente di più delle entrate. Proprio lo scorso mese, ho perso una strutturata bravissima. Ormai siamo costretti ad adeguarci a soluzioni fantasiose per portare avanti i pronto soccorso in Italia. Anche le cooperative esterne, nonostante i contratti, fanno fatica con i gettonisti a coprire tutti i turni che dovrebbero. Un po’ di respiro ci viene dato da chi fa prestazioni aggiuntive per l’ospedale. Medici che, dopo il decreto bollette (che ha alzato la paga oraria di queste prestazioni a 100 euro l’ora, ndr), si sentono valorizzati e vengono a darci una mano. Questo, però, non fa gli interessi della qualità del pronto soccorso. Noi cerchiamo di lavorare tenendo sempre un medico di ruolo di turno, affiancato da altri professionisti reclutati con diversi sistemi. Ma non sempre ci riusciamo. Ci sono dei pronto soccorso interamente gestiti dalle cooperative. E la qualità delle cure si abbassa.

A proposito del decreto Bollette: con questa misura il governo ha introdotto alcune novità. È troppo presto per verificarne i risultati?
Serve una riforma strutturale. Schillaci l’ha promessa ma per ora non ne sappiamo nulla. Il decreto bollette lo abbiamo accolto con favore, perché ha il merito di prendersi in carico alcune problematiche. Ma comunque è solo una misura che continua a gestire l’emergenza. Le criticità continueranno a presentarsi. Adesso siamo in ballo con un tavolo tecnico dove potremmo proporre le nostre idee di modifica al Decreto ministeriale 70/2015 (sugli standard dell’assistenza ospedaliera) e al Dm 77/2022 (sugli standard dell’assistenza territoriale), per rafforzare l’integrazione tra ospedali e territorio. Il Ministero vorrebbe presentare i risultati di questo lavoro di consultazione il 31 ottobre. Per il momento si tratta solo di proposte, ma almeno stiamo parlando di cambiamenti di sistema, strutturali, a lungo periodo.

In questo panorama, come valutate la delibera della Regione Lombardia che riforma i pronto soccorso regionali?
Ha il merito di guardare un po’ più avanti. Si pongono degli obiettivi che chiaramente non sono raggiungibili domani, sia per motivi organizzativi che di organico. Non ci sono le risorse umane per realizzare questi progetti al momento. Però ci piace l’idea di lavorare a un sistema futuro che possa restituire efficacia ed efficienza. Altrimenti andiamo avanti solo a tappare i buchi. La programmazione futura deve assolutamente vedere un potenziamento dei pronto soccorso. In tutti gli ospedali deve essere prevista una degenza vera per la medicina d’emergenza-urgenza che comprenda anche le terapie sub-intensive.

La delibera della Regione prevede una riorganizzazione delle risorse disponibili, non un aumento del totale dei letti degli ospedali. A queste condizioni è possibile comunque raggiungere gli obiettivi?
Questo è il problema. A risorse zero, senza alzare il numero totale di letti, ma prevedendo solo una redistribuzione interna, diventa una guerra tra poveri. Tutti vogliono una fetta ma non ce n’è abbastanza. La soluzione è il potenziamento sia dell’ospedale che del territorio. Ben vengano le proposte lombarde, ma devono inserirsi in un panorama che preveda l’aumento dei letti. O ragioniamo in questi termini o il sistema è destinato a fallire. Il potenziamento, però, deve essere portato a livello nazionale. Le singole regioni non possono fare nulla. Bisogna incrementare le risorse destinate alla sanità. Secondo Schillaci servono 3-4 miliardi in più ogni anno, vedremo cosa uscirà dagli incontri con il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.

Una delle ultime notizie è stata quella del rinvio dei fondi Pnrr destinati alla medicina territoriale e alla digitalizzazione dei pronto soccorso. Quali conseguenze avrà questo taglio di soldi che erano attesi?
Noi abbiamo sempre detto che il Pnrr, così com’è, costruisce dei muri, delle strutture, ma non dà nessuna risposta perché non ci possiamo mettere dentro le persone, visto che non ci sono medici. Da questo punto di vista, tagliare 400 case di comunità sembrerebbe ininfluente. Ma il problema è che quella era la strada scelta dal governo per cominciare a dare delle risposte al Ssn, ed è stata semplicemente tagliata, senza dare nessuna alternativa. Perché sul fatto che dal 2026 lavoreranno nella direzione di realizzare tutti i progetti “congelati”, mi permetto di avere qualche dubbio. Assomiglia tanto a un cedere le armi. Molto problematico è anche il taglio dei fondi per la digitalizzazione dei pronto soccorso. Era l’unica voce che interveniva sugli ospedali. Le semplificazioni introdotte dal fascicolo elettronico, con la storia clinica completa del paziente facilmente consultabile, avrebbero un’importanza vitale.

In attesa degli eventuali fondi, quale può essere il primo passo per potenziare il Ssn?
Aprire un tavolo di lavoro concreto e sereno con l’Università sulle scuole di specializzazione. Gli specializzandi potrebbero darci una grande mano. Perché non si può pensare che, dal terzo anno in poi per esempio, non possano lavorare per il Ssn? In altri paesi europei i medici in specializzazione sono dirigenti medici dal primo momento, e comunque sono ancora in fase di formazione. Possiamo trovare un sistema per non tenere chiuse queste risorse importanti per cinque anni nelle università e permettere fin da subito che gli specializzandi diventino protagonisti della sanità pubblica, dentro gli ospedali. Sono molto preparati. Sarebbe un passo di modernizzazione importante, discutiamone. Sennò restiamo sempre gli stessi quattro gatti.

Fabio De Iaco, presidente Simeu e Direttore di pronto soccorso all’ospedale Maria Vittoria di Torino