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Il voto in Spagna parla anche all’Italia: siamo pronti a sfidare l’attuale assetto di potere?

Sollievo. È la prima sensazione che in tanti hanno provato stanotte quando è stato chiaro che l’avanzata dell’ultradestra di Vox non c’era stata. E che la prospettiva di un’alleanza tra popolari europei e “conservatori” in vista delle prossime elezioni europee si allontana.

La presbiopia del potere mediatico italiano: I fascisti “lontani” li riconosce, quelli vicini non li vede

Un sollievo che sembra condiviso anche dai media progressisti italiani che, il giorno dopo, titolano “Flop sovranista” (La Repubblica), “Vox non sfonda” (Domani), “Fallisce il modello Italia” (La Stampa). Peccato, però, che gli stessi media progressisti italiani, tanto chiari quando c’è da caratterizzare Vox (“ultradestra”, scrive La Stampa; “estrema destra”, La Repubblica; “la destra più spinta”, Domani) e anche il Partito popolare (PP) – Domani arriva a definire Fejiòo “finto moderato” e ad affermare che “una destra moderata non c’è” – considerino l’alleata di Vox Giorgia Meloni una conservatrice tutto sommato presentabile e moderata e il suo un governo di “centrodestra” e non dell’estrema destra.

La normalizzazione dell’ultradestra di casa nostra passa anche attraverso le parole, definizioni e concettualizzazioni del potere mediatico “progressista”.

L’ultradestra spagnola

Tornando al voto. I sondaggi sono stati smentiti: davano quasi tutti la maggioranza assoluta al blocco reazionario PP-Vox o addirittura al PP in solitaria e, invece, all’indomani le destre rimangono senza possibilità alcuna di formare un governo. Il PP è sì cresciuto, ma Vox ha perso circa 700mila voti rispetto al 2019 e ben 19 seggi. Il PP ha inghiottito Ciudadanos (ormai scomparso), assorbendone praticamente tutti i voti, e anche parte di Vox. Una “tigre” – di carta – cui ha permesso di scorrazzare per poi cavalcarla. Ma ciò non è bastato.

Tuttavia, il PP è oggi meglio posizionato di ieri per tornare a coprire l’intera metà campo “destra” del terreno di gioco spagnolo, puntando a un ritorno in campo di quel bi-partitismo che era stato scosso – ma evidentemente non sconfitto – dall’irruzione sulla scena del movimento popolare del 15-M, con le “acampadas”, le piazze piene e i risultati elettorali di Podemos prima e Unidas Podemos poi.

Il ritorno del bipartitismo (imperfetto)

Anche perché nell’altra metà campo, quella di “sinistra”, c’è stato un movimento speculare. Il PSOE si è auto-rappresentato come unico argine possibile e realistico all’avanzata dell’ultradestra. Chiedendo un voto utile (a qualcuno ricorda qualcosa?) che ha in buona parte ricevuto. Il partito ha infatti tenuto elettoralmente ed è oggi nelle condizioni di avviare trattative per la formazione di un nuovo governo di coalizione.

Messi insieme, PP e PSOE, raggruppano circa il 65% dei voti utili espressi, a non troppa distanza dai record che registravano prima che irrompessero sulla scena altri attori, prima sociali e poi politici.

Siamo dunque dinanzi a una stabilizzazione del sistema politico spagnolo, centrato sui due tradizionali attori partitici. E, tenendo da parte i partiti regionalisti o indipendentisti – peculiarità dello Stato spagnolo, gli altri rischiano di limitarsi a giocare il ruolo di junior partner di un nuovo bipolarismo. Di Vox si è già detto, “mangiato” per certi versi dallo spostamento a destra del PP e dal richiamo del voto utile.

Sumar parte del sistema o alternativa autonoma? La Spagna che vota parla anche all’Italia

Dall’altra parte, si presentava la novità di “Sumar”. Una coalizione costituita da circa 15 diversi partiti di sinistra, che prendeva le mosse da Unidas Podemos (UP). La lista ha ottenuto circa 3 milioni di voti (il 12,3%) e 31 seggi. Yolanda Dìaz, la candidata alla presidenza, aveva l’ambizione di fare molto meglio di Unidas Podemos. Tuttavia, Sumar ha perso voti rispetto al peggior risultato di UP, che nel 2019 aveva raccolto 3,7 milioni di voti (12,9%) e 38 seggi.

Ma la differenza non è solo in termini di voti. E nemmeno di “stile”: il sorriso di Yolanda Dìaz contro le figure “divisive” di Podemos (qualcuno poi dovrà spiegarmi come si fa a non essere “divisivi” se si vanno a intaccare posizioni di dominio e potere). La domanda che dovremmo porci è, infatti, quale sia il progetto politico strategico per trasformare i nostri Paesi. In Spagna il PSOE rivendica il suo ruolo di partito di sistema, nume tutelare del “regime del 1978”, cioè del regime politico sorto sulle ceneri del franchismo. È, dunque, un partito che ambisce a conservare l’attuale e tradizionale configurazione del potere. Un po’ come il Pd nostrano, frutto di una storia diversa, ma che oggi riveste il ruolo di colonna portante del “sistema Italia”.

E “Sumar”? Ha l’ambizione di costruire e rafforzare una prospettiva autonoma di trasformazione sociale e politica o crede che l’unica possibilità sia accettare di essere junior partner la cui funzione è quella di spostare un po’ più a sinistra possibili governi del PSOE (un po’ come, a casa nostra, le foglie di fico del Pd)?

È una domanda importante anche per noi qui. Perché gli unici progetti di trasformazione sono quelli che mettono in discussione gli assetti di potere esistenti. Per questo, la domanda che dobbiamo porre innanzitutto a noi stessi è: abbiamo la volontà, prima ancora della forza, di sfidare l’attuale assetto di poteri che vede un potere economico nelle mani non solo di Confindustria, ma anche di tante associazioni di categoria che ne nostro Paese frenano addirittura i progetti di modernizzazione capitalista e richieste “moderate” come l’introduzione di un salario minimo?

Un potere politico che, anche attraverso leggi elettorali pessime, tende a rafforzare la tendenza al bipolarismo, sebbene imperfetto, e a espellere le forze che non accettano di dover scegliere tra la mano destra e quella sinistra del potere (l’irruzione del M5S è stata ormai neutralizzata e normalizzata, così che oggi il partito di Conte è componente di una nuova forma del centrosinistra)? Un oligopolio mediatico (e una raccolta pubblicitaria altrettanto oligopolistica) ferocemente ostile alle forze della trasformazione?

Oggi tiriamo un sospiro di sollievo per il flop di Vox. Ma la “normalizzazione” dell’eccezione spagnola – e quindi l’assorbimento nei fatti prima che nella forma di Sumar da parte del PSOE – non sarebbe una buona notizia. Nemmeno per noi. Non è dal PSOE e da soggetti che si limitino a svolgere posizioni ancellari che possono nascere prospettive di miglioramento delle vite delle classi popolari. Traslato in Italia, i nodi di fondo sono gli stessi.