Cronaca

“Milano non fa per te”. Le risposte alle famiglie sotto sfratto e il loro calvario tra burocrazia, carenza di alloggi e fondi azzerati dal governo

Non sai come mantenere la tua famiglia? Non riesci a pagare l’affitto? Hai perso il lavoro e ti ritrovi sotto sfratto? Pensaci, “forse Milano non è la città per te”. La sagace intuizione è quanto molte persone si sono sentite dire da funzionari e operatori del Comune di Milano mentre erano sotto sfratto e chiedevano aiuto per non finire in mezzo alla strada, destino che ormai riguarda anche anziani, persone con disabilità e famiglie con bambini. Come quella sfrattata lunedì che, visti i tempi, si è sistemata in tenda davanti al municipio milanese. Nell’Italia che taglia il Reddito di cittadinanza, il disagio abitativo non può certo fare sconti. Da un lato la strutturale carenza di alloggi a canone sociale e la politica abitativa che non esiste, nemmeno per i più vulnerabili. Dall’altro la burocrazia, lenta e insensibile al punto che anche i casi più urgenti devono aspettare mesi solo per vedere protocollata una domanda di sistemazione temporanea. Così, anche nella città più ricca d’Italia, le famiglie vengono separate, coi minori mandati nei dormitori per i senza dimora. O in albergo, ma solo per pochi giorni (dieci è l’ipotesi per la famiglia sfrattata lunedì, ndr) e sempre che il mega evento di turno, si tratti dell’alta moda o del design, non abbia già prenotato tutto. Poi c’è la strada, “la disgregazione totale che crea altra povertà, che priva queste famiglie anche della rete sociale che consentiva loro di sopravvivere, di curarsi, di mandare i figli a scuola”, spiega Mattia Gatti del Sicet di Milano, il sindacato inquilini della Cisl.

Seicentomila famiglie in graduatoria e 900mila quelle in condizione di povertà abitativa che pagano un affitto. Questi i numeri dell’Italia senza un tetto o a rischio di perderlo. Al quadro vanno poi aggiunti l’inflazione, il caro bollette e la recente cancellazione del Reddito di cittadinanza per i poveri che non appartengono a nuclei dove è presente almeno una persona con disabilità, over 60 o minorenne. Da luglio, quando per loro la misura andrà a scadenza, i cosiddetti “occupabili” perderanno anche i 280 euro di contributo all’affitto. E i sindacati degli inquilini attendono un’immediata recrudescenza della morosità e delle richieste di sfratto. I dati ufficiali per il 2022 arriveranno a giugno, ma il centro studi dell’Unione inquilini riporta che le segnalazioni dalle varie Regioni confermano un aumento del contenzioso. “E per il 2023 già vediamo un’ulteriore crescita delle esecuzioni delle richieste di sfratti da parte dei proprietari”, spiega il direttore del centro studi dell’Unione inquilini, Massimo Pasquini. A Firenze, dove i sindacati parlano di “situazione esplosiva”, si contano ormai 140 sfratti al mese.

Inoltre molti contratti sono aumentati anche di 1000 euro l’anno a causa degli adeguamenti Istat. E così anche nell’housing sociale, con canoni saliti di 400 o 500 euro l’anno. “Preoccupano poi i pignoramenti“, spiega Gatti. Tra tassi d’interesse in crescita e spese di condominio spinte dai conguagli energetici, “tra i titolari di un mutuo a tasso variabile molti potrebbero vedersi pignorare la casa”. Nonostante tutto, compresi gli appelli di tante amministrazioni locali, il governo non accenna a ripensare la decisione di non rifinanziare il Fondo per il sostegno alle locazioni e il Fondo per la morosità incolpevole. “La scelta fatta con l’ultima legge di bilancio è il segno tangibile del disinteresse della politica”, è il commento del sindacalista. Il Fondo affitti passa dai 330 milioni del 2022 a zero, come purtroppo era già stato preventivato dal secondo governo Conte e dal governo Draghi. Quanto ai fondi per le famiglie morose perché povere (50 milioni nel 2021), la scelta del governo Meloni “potrebbe spingere i 400 mila proprietari che ricevevano il contributo ad anticipare la richiesta di sfratto, tanto sanno che non arriverà nulla per pagare o integrare il canone degli affittuari”, spiega Pasquini.

Qual è dunque il destino di chi non ce la fa? Prendiamo Milano, la città che ha inaugurato la protesta delle tende degli studenti, che denunciano l’assenza di alloggi e i costi insostenibili degli affitti per i fuori sede. La lista di chi attende una casa popolare è lunga: 15mila le persone in graduatoria. Ma ben 10mila alloggi Aler sono indisponibili per mancanza di manutenzione. Oltre alle risorse, c’è infatti un enorme problema gestionale di enti obbligati al pareggio di bilancio mentre i canoni non coprono nemmeno la metà dei costi di amministrazione del patrimonio. “In Europa? Fissano il canone per la casa popolare perché sia sufficiente a coprire davvero i costi. E quello che la famiglia non può pagare è a carico della fiscalità generale, punto”, chiarisce Pasquini. Al contrario, in Italia gli enti delle case popolari sono sempre in bolletta, così sopravvivono trattenendo inquilini con redditi sopra la soglia e con i canoni sanzionatori di chi ha occupato. Risultato? Non riqualificano gli alloggi e le famiglie aspettano. Nel frattempo capita che non siano più in grado di pagare l’affitto della casa in cui vivono e che il proprietario le sfratti. “A Milano l’esecuzione è sempre più veloce”, spiega il Sicet. L’opposto della burocrazia comunale, che quando non è sorda, è lenta. “Se ti arriva un avviso di sfratto e chiami il comune, oggi ti danno un appuntamento per settembre, quando magari sarai già in mezzo a una strada”, racconta Gatti. Lungaggini che i servizi sociali provano ad aggirare mandano le persone al sindacato, che raccoglie le domande e regolarmente le consegna agli uffici comunali per snellire almeno in parte la procedura.

Si tratta delle richieste per i Servizi abitativi transitori (SAT) della Lombardia, ma la dotazione di alloggi non è mai stata sufficiente. “Sono famiglie già in graduatoria per una casa popolare che non è mai arrivata, con una richiesta di sfratto sulla testa e una risposta dal comune che non arriverà se non 4 o addirittura 6 mesi dopo che la domanda è stata presa in carico”, chiarisce Gatti, assicurando che l’assegnazione “urgente” dell’alloggio ci mette un anno ad arrivare. Quando arriva: spesso la casa non viene assegnata anche se la risposta è positiva. Peggio, ultimamente non arrivano nemmeno le risposte. “Ti dicono che la domanda è stata valutata, che ti chiameranno per ritirare il provvedimento. E poi il provvedimento non arriva e questo riguarda moltissime famiglie”, spiega il Sicet, che lunedì 22 maggio sarà di fronte all’assessorato alla Casa di Milano per chiedere conto della situazione di un Comune che non ha nemmeno contezza di chi verrà sfrattato domani: “Una volta gli uffici erano in contatto coi commissariati, potevano giocare d’anticipo. Adesso non interessa: quando mandiamo i telegrammi ricevuti dalle famiglie, gli uffici rispondono di presentarsi a sfratto avvenuto e fare domanda SAT”.

“La verità? Chi è sotto sfratto e si rivolge al Comune si sente spesso rispondere che per loro non c’è niente”, riporta Gatti. “Se insiste, magari gli trovano posto in un dormitorio, ma solo per un genitore e per i minori, separando la famiglia ed esponendola a promiscuità e disagi”. A volte capita la camera di un albergo. “Un ripiego per pochi giorni che non risolve nulla e che è precluso tutte le volte che a Milano c’è un grande evento che riempie anche le strutture più economiche di addetti e operai”. Altre volte, chi si è rivolto al Comune ha riferito queste parole: “Milano non è una città per te“. Gatti denuncia di averle sentite spesso, anche di persona: “Eravamo in strada, nel bel mezzo di uno sfratto e in attesa della polizia che lo avrebbe eseguito”, racconta. “E un’operatrice che lavora per il Comune ha rivolto quelle parole alla famiglia che stava perdendo la casa”. Ad andar bene, spiega, “ti dicono di cercarti una casa fuori Milano, ma non mancano famiglie straniere che si sentono dire “torna al tuo Paese“”. Così la città più ricca ci mette del suo per produrre altra povertà, quella che la perdita di una casa genera inevitabilmente. “Lo sfratto produce povertà perché genera disgregazione sociale, fa perdere il lavoro, allontana i bambini dalla scuola”, aggiunge il Sicet. E disgregandosi, una vita che prima era fatta di reti di conoscenze, di solidarietà tra vicini e mutuo soccorso, diventa più costosa e complicata, peggiorando definitivamente le cose.