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Il governo tira dritto sullo scudo penale per gli evasori. Per i pm è “messaggio criminogeno” e “vademecum per ridurre i costi” a spese del fisco

Sullo scudo penale per gli evasori il governo va avanti dritto. Durante una confusa seduta notturna delle commissioni riunite Finanze e Affari sociali della Camera sul decreto Bollette – tra riformulazioni ed emendamenti senza copertura – la maggioranza ha bocciato tutte le proposte di modifica della nuova causa speciale di non punibilità fino alla pronuncia di appello infilata a sorpresa nel provvedimento. Una scelta che non scontenta solo le opposizioni, da cui era arrivata la richiesta di sopprimere quell’articolo o cambiarlo radicalmente, ma anche e soprattutto gli addetti ai lavori. Tributaristi, docenti di diritto penale e magistrati che durante le audizioni parlamentari hanno avvertito come quella norma lanci un “messaggio criminogeno“, depotenzi la riscossione, promuova comportamenti “gravemente antisociali” – cioè l’evasione fiscale – e rischi di far sprecare risorse pubbliche per avviare processi destinati ad essere vanificati dopo il primo grado da questo iniquo salvacondotto. Oltre a comportare un allungamento dei procedimenti, in evidente contrasto con l’obiettivo del Pnrr di ridurne la durata del 25% entro il 2026.

L’articolo più volte rivendicato dal viceministro con delega al fisco Maurizio Leo e dalla stessa premier Giorgia Meloni, il 23, modifica la legge sui reati tributari 74/2000 che all’articolo 13 già concede la non punibilità per omesso versamento di ritenute per importo superiore a 150mila euro, omesso versamento Iva sopra i 250mila euro e indebita compensazione di crediti non spettanti oltre i 50mila euro se debiti, sanzioni e interessi vengono pagati integralmente prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Chi sta versando a rate ha tempo fino a 6 mesi per saldare tutto il dovuto e nel frattempo la prescrizione è sospesa. Il governo ha deciso che quella via di uscita, prevista dal 2019, non bastava. E, per tutti i contribuenti che aderiranno alle varie sanatorie e condoni inseriti in legge di Bilancio, ha rinviato il termine ultimo entro cui “definire” le violazioni alla fase finale del giudizio di secondo grado. Risultato: un condannato in primo grado per uno di quei tre reati, puniti con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, potrà decidere fino al giorno prima dell’appello se aderire a una rateizzazione che in base alla manovra può durare fino a 5 anni. Ottenendo così la sospensione del processo, per la quale è sufficiente aver pagato la prima rata.

“Vademecum” per evasoriAlessandro Milita, procuratore aggiunto a Napoli, nell’audizione dell’11 aprile ha demolito la norma con parole durissime. A poco vale che i processi in appello su questi temi siano pochi: “rischia di diventare un messaggio criminogeno“, ha avvertito, bollando come “completamente illogica” la scelta di spostare la deadline alla sentenza di secondo grado: “Normalmente le normative premiali prevedono come limite massimo l’apertura del dibattimento perché spostandolo così avanti, a ridosso del giudicato”, il risultato sarà che il contribuente “attenderà il giudizio di primo grado, evitando di fruire della causa di non punibilità di cui all’articolo 13, farà ricorso e deciderà all’ultimo momento. Così si creano distorsioni totali: saranno favorite le grandi società in grado di stabilire il rapporto costi-benefici in termini puramente economici e di conseguenza questa norma invece di incentivare la riscossione opererà in modo diametralmente opposto: la possibilità di riscuotere si ridurrà”. Di fatto, ha concluso Milita, il governo crea “un vademecum per ogni imprenditore che intenda massimizzare il profitto e ridurre i costi” a spese del fisco.

Il fisco come bancomat – Il nuovo scudo allargherà insomma il raggio di azione di strategie aziendali basate sul mancato versamento delle imposte come fonte di finanziamento di facile accesso e a basso costo grazie alle sanatorie. Un fenomeno già molto diffuso, come ha ricordato il tributarista Tommaso Di Tanno, e messo in atto da imprese che nel frattempo “onorano le scadenze con i fornitori, concedono dilazioni ai clienti, partecipano a gare pubbliche, pagano i compensi degli amministratori e magari distribuiscono dividendi ai soci”. Comportamenti “gravemente antisociali”, ha notato l’esperto di politica fiscale, auspicando che i benefici vengano limitati a chi al contrario non ha pagato perché davvero non poteva.

Lo sconto a chi sa di meritare il carcere – Una causa di non punibilità così posticipata “e per giunta poco costosa”, ha concordato Fabio Di Vizio, sostituto procuratore a Firenze, rischia di “generalizzare comportamenti attendisti, rassicurati dalla possibilità di virare su definizioni opportunistiche e a “prezzi scontati” anche in situazioni processuali compromesse” in cui “si è venuta delineando con chiarezza la fondatezza della contestazione penale“. Il tutto senza che il governo mostri per di più la minima attenzione per “lo spreco di risorse e denaro per la celebrazione dei processi di primo grado” destinati a essere vanificati con “adempimenti tardivi e tutto sommato convenienti per il contribuente”.

Si allunga la durata dei processi – L’intervento per di più è del tutto “inutile dal punto di vista della deflazione“, secondo Milita, perché si parla di pochissimi procedimenti. Giudizio condiviso dall’aggiunto di Milano Eugenio Fusco, che ha definito la norma un “regalo eccessivo a chi non ha pagato il tributo” e ha spiegato come per questo genere di reato l’appello si risolva in un’udienza o due. Insomma non sono certo questi i processi che ingolfano la macchina della giustizia di cui l’Italia nel Recovery plan ha promesso la velocizzazione. Su questo aspetto Gian Luigi Gatta, docente di diritto penale alla Statale e già consigliere giuridico dell’ex ministra Marta Cartabia, durante le audizioni ha aggiunto un ulteriore elemento di preoccupazione: oltre al fatto che il nuovo articolo 23 non prevede esplicitamente la sospensione della prescrizione del reato, allungare così tanto il tempo a disposizione per aderire alla “tregua fiscale” senza conseguenze penali “introduce un meccanismo sospensivo in appello che può essere molto lungo, fino a 5 anni”, cosa che “produce effetti negativi sui tempi del processo, in contrasto con gli obiettivi del Pnrr”.

Gli emendamenti bocciati – Pd, M5s e Avs hanno cercato di fare muro con un corposo pacchetto di emendamenti: dal più ambizioso che chiedeva la soppressione dell’articolo a quelli “difensivi” che puntavano perlomeno a ridurne la portata. Limitando per esempio la non punibilità al mancato versamento Iva da parte di contribuenti che possano dimostrate di non averla incassata (per importi rilevanti) dai soggetti a cui hanno venduto, riportando il termine ultimo per il pagamento all’apertura del dibattimento di primo grado, vietando a chi accede alla causa di non punibilità di distribuire utili e partecipare ad appalti pubblici per tutta la durata della sospensione del processo, precludendola a chi ha già delle condanne per reati fiscali. La maggioranza ha votato contro. “Si crea un deciso incentivo a non adempiere agli obblighi fiscali, garantendo una sostanziale impunità penale. Questo governo non combatte l’evasione, anzi la favorisce”, ha commentato il deputato del Pd Virginio Merola.