Economia & Lobby

Le famiglie ormai tagliano anche sulle cose da mangiare (- 4,9%) ma gli incassi dei supermercati salgono del 7,8%

Le famiglie italiane sono sempre più in difficoltà e ormai si taglia anche sui beni alimentari. È quanto emerge dai dati Istat relativi alle vendite al dettaglio di marzo che rimangono stabili come valore ma scendono dello 0,3% rispetto a febbraio come quantità. Significa che con i prezzi che salgono le persone sono costrette a diminuire quello che comprano perché non riescono ad affrontare l’aggravio di spesa. Viceversa, stando agli ultimi dati di Mediobanca, sebbene in calo, i margini della grande distribuzione non sembrano soffrire troppo. I rincari vengono insomma per lo più scaricati sui consumatori finali e non è un caso che ormai anche la Banca centrale europea insista nel sottolineare come quella in atto sia un’inflazione da profitti, in cui i prezzi vengono alzati in misura maggiore rispetto all’aumento dei costi. Tornando all’Istat, l’istituto specifica come le vendite in valore siano risultate stazionarie sia per i beni alimentari sia per i beni non alimentari mentre le vendite in volume sono in diminuzione per entrambi i settori (rispettivamente -0,7% e -0,1%). Su base tendenziale, ovvero rispetto a marzo 2023, le vendite al dettaglio aumentano del 5,8% in valore e registrano un calo in volume del 2,9%. Si registrano andamenti di segno analogo sia per le vendite dei beni alimentari (+7,7% in valore e -4,9% in volume), sia per quelle dei beni non alimentari (+4,1% in valore e -1,3% in volume). Viceversa salgono i ricavi dei supermercati che segnano un + 7,8%, più che compensando l’inflazione del mese considerato. I piccoli negozi hanno chiuso il mese con un incremento degli incassi più contenuto (+3,5%) mentre riprende a macinare fatturato il commercio on line (+10,3%).

I dati sulle vendite al dettaglio “dimostrano l’effetto che ancora oggi l’inflazione provoca sulle famiglie italiane”, afferma Assoutenti. “Per affrontare il caro-prezzi le famiglie continuano a tagliare le spese primarie come gli alimentari”, rimarca il presidente Furio Truzzi. “Al netto dell’inflazione la spesa alimentare degli italiani cala complessivamente di 7,1 miliardi di euro su base annua, con una riduzione media di 377 euro se si considera un nucleo con due figli”, calcola Assoutenti. “Il Paese è fermo. Nonostante l’inflazione sia sempre al galoppo, le vendite in valore restano al palo. Ancora più preoccupanti i dati depurati dall’effetto ottico dei prezzi. Prosegue la cura dimagrante degli italiani. Una dieta forzata dovuta ai prezzi lunari, rincari che ora sono ingiustificati, frutto di speculazioni belle e buone”, così l’Unione nazionale dei consumatori.

Secondo Federdistribuzione (l’associazione dei supermercati) “Il mese di marzo conferma un andamento a forbice per quanto riguarda i consumi che a valore continuano a crescere, come conseguenza dell’inflazione di questi mesi, mentre a volume rimangono in terreno negativo: è un dato che conferma i timori che abbiamo ripetutamente espresso di fronte alle richieste di aumento dei prezzi dei beni di largo consumo”. “In una fase in cui i prezzi non sono destinati a scendere, è importante tutelare il potere d’acquisto alle famiglie, creando le condizioni per un rinnovato clima di fiducia che favorisca la ripresa della domanda interna”, afferma il presidente dell’associazione Carlo Alberto Buttarelli. Ieri intanto è stata convocata la “Commissione di allerta rapida sui prezzi” per affrontare il tema del costo della pasta il cui prezzo medio è salito in marzo del 17,5% rispetto all’anno prima, oltre il doppio rispetto al tasso di inflazione.