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Pnrr, scadenze a rischio? “Colpa di Conte che ha ottenuto troppi soldi”. Per il Corriere il responsabile è “il premier grillino bulimico”

“Conte non ha tenuto conto della storica incapacità del sistema nazionale di utilizzare appieno i finanziamenti Ue. Ecco il baco: la bulimia del premier grillino”. Dopo tre anni e due governi, il problema della capacità di spesa dei fondi del Pnrr ha un responsabile, secondo il Corriere della Sera: Giuseppe Conte. All’avvicinarsi delle prime scadenze per verificare l’avanzamento dei lavori finanziati con i fondi europei, tra opinionisti e politici serpeggia il panico: abbiamo preso troppi soldi, chiesto troppi prestiti. Questa è la tesi. Oggi sul punto dedica un’analisi richiamata in prima pagina l’opinionista del Corriere Francesco Verderami. Il titolo non lascia spazio a interpretazioni: “Tanti soldi, anzi troppi. La matassa dei fondi che ora resta da sbrogliare”. Con sottotitolo: “I finanziamenti chiesti da Conte già eccessivi per il governo Draghi”. Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto, durante un faccia a faccia con il vicedirettore de La Stampa, ha messo l’accento sulla capacità di spesa: “Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere”, ha risposto il ministro alla domanda se l’Italia abbia chiesto troppi fondi.

Quello che stupisce è il cambio di atteggiamento e la corsa ad addossare tutte le responsabilità al solo governo Conte 2. Il via libera da parte di Bruxelles alle richieste italiane fu accolto con generale e diffusa soddisfazione. “Una grande opportunità da non sprecare” è stato il leitmotiv di questi ultimi due anni. Un’occasione così ghiotta che non poteva essere lasciata al governo Conte, tanto che la questione dei fondi fu almeno formalmente alla base della crisi di governo innescata da Matteo Renzi. E così scese in campo il “Cristiano Ronaldo” della Repubblica, Mario Draghi, pronto, come si usa dire, a “mettere a terra” i progetti del Pnrr dopo aver rivisto, in verità senza grandi cambiamenti, la versione del Pnrr messa a punto dal precedente esecutivo. Poi il testimone è passato a Giorgia Meloni, che governa ormai da 6 mesi con il ministro Giorgetti, piazzato all’Economia proprio per assicurare una continuità con l’opera del precedente esecutivo. Secondo Verderami, Conte ha sbagliato perché “non teneva conto della storica incapacità del sistema nazionale di utilizzare appieno i finanziamenti Ue”. L’analisi quindi sentenzia: “Ecco il baco”. In realtà ne teneva conto. Infatti l’arrivo dei fondi avrebbe dovuto essere accompagnato dal rafforzamento della macchina amministrativa anche attraverso l’assunzione di nuovo personale ma su questo fronte poco o nulla è stato fatto da chi è venuto dopo.

I bandi sono stati pochi e concepiti male, il risultato è che la pubblica amministrazione è rimasta sguarnita di fronte ai nuovi e gravosi compiti assegnati. La gestione dell’ex ministro della P.a. Renato Brunetta, ora promosso da Meloni alla presidenza del Cnel, è stata da questo punto di vista disastrosa. Almeno su questo punto una qualche condivisione delle responsabilità avrebbe dovuto esserci. E invece no. Secondo il Corriere “Draghi non poteva completamente sconfessare Conte, siccome il M5S era partito di maggioranza in Parlamento”. Eppure nel settembre 2022 Draghi spiegava “Quello che si può rivedere del Pnrr è quello che non è stato ancora bandito ma siccome la gran parte dei bandi è stato fatto c’è poco da rivedere. Eviterei comunque un approccio ideologico alla questione”. A fare i bandi è stato anche e soprattutto il governo Draghi, che come si evince dalle parole dell’ex presidente, sarebbe stato ancora in grado di rallentare se lo avesse voluto. A fare bandi ha continuato anche il governo Meloni che certo è salito su un treno in corsa ma a cui il Corriere toglie qualsiasi responsabilità perché i problemi sono stati “ereditati poiché l’esecutivo di unità nazionale non poté correggerli”.

In serata arriva la replica di Giuseppe Conte. “Purtroppo il governo sul Pnrr non ha le idee chiare. Ci sono due-tre-quattro linee di pensiero: c’è chi dice che non bisognava prenderne troppi, chi dice che i prestiti sono una fregatura, chi che non riusciamo a spendere. Noi abbiamo lanciato una proposta di collaborazione, che non è stata ancora accolta. Se non sono capaci lo devo dire adesso, non possiamo permetterci i perdere l’occasione del rilancio economico, sociale e culturale del Paese. Abbiamo proposte e soluzioni da far valere al tavolo”, afferma l’ex presidente del Consiglio.

Come sono le regole? Se un paese inizia un’opera con i soldi di Bruxelles ma non rispetta la tabella di marcia, il completamento rimane a suo carico. L’Italia, è vero, è il paese che ha fatto più ricorso ai fondi messi a disposizione da Bruxelles, soprattutto a quelli in forma di prestiti che andranno restituiti seppur pagando interessi particolarmente vantaggiosi: Roma ha ottenuto in tutto 191 miliardi di euro, di cui 122 miliardi come prestiti e gli altri 69 come trasferimenti che non devono essere restituiti. Le due economie più immediatamente rapportabili alla nostra, Francia e Spagna, hanno fatto scelte molto più conservative. Parigi si è fermata a 39 miliardi, quasi tutti in forma di trasferimenti. Madrid ha fatto domanda per 70 miliardi di euro, anche in questo caso quasi tutti trasferimenti. La Germania, che poteva contare su risorse e margini di bilancio molto più ampi per affrontare la pandemia, si è limitata a 25 miliardi, senza nessun prestito. Ma tutto questo è noto da quasi tre anni. Per tutta la durata del governo Draghi nessuno aveva messo in dubbio la grande opportunità di un piano così ambizioso. Ora, con l’approssimarsi delle scadenze e il rischio di fallimento, sul banco degli imputati finisce chi ha ottenuto quei fondi.