Economia & Lobby

Piemonte, la direttrice dell’ospedale di Cuneo si dimette: ultima puntata del caos sull’edilizia sanitaria

E’ di questi giorni la notizia delle dimissioni “per motivi personali” di Elide Azzan, direttrice generale dell’ospedale di Cuneo, giunte come un fulmine a ciel sereno. Lo stesso farà la direttrice sanitaria Monica Rebora, una fuga preoccupante. Sarebbe la classica notizia destinata a nascere e morire nell’estremo nord ovest italiano, se non fosse che arriva al culmine di due mesi di fuoco intorno a un tema che riguarda le opere pubbliche di tutto il paese: quali modalità e strumenti il pubblico ha a disposizione per realizzare opere di interesse collettivo, realizzando efficienza nei tempi e nei costi e garantendo una corretta concorrenza fra tutti i soggetti variamente interessati?

Al momento la dott. Azzan non ha rilasciato dichiarazioni, ma è opinione diffusa che le sue dimissioni possano essere state indotte da uno scontro con la Regione – assessore Icardi e presidente Cirio – proprio sulle modalità di progettazione e realizzazione del nuovo ospedale di Cuneo. La questione l’ho illustrata quando sembrava che non interessasse a nessuno, piace pensare che un contributo alla crisi che si è aperta sia anche un po’ merito mio.

Riassunto: dopo un decennio di chiacchiere e di decisioni contraddittorie che hanno determinato la paralisi dell’edilizia sanitaria piemontese, tutto è fermo. Città della Salute di Torino (Molinette) e sorella minore di Novara, entrambe aziende ospedaliere e universitarie, funestate da gare eterne dalle quali i concorrenti di ritirano a metà del guado: sostanzialmente tutto da rifare. Il tempo passa e i vecchi ospedali non ce la fanno più, lo stesso i pazienti, i ricercatori e i medici. Ospedale di Alessandria idem e Cuneo pure. Mancano i soldi, si diceva qualche anno fa, occorre aprire ai privati attivando interventi di PPP (Parternariato Pubblico-Privato) e/o project financing. In pratica investitori privati propongono l’intervento sulla base delle indicazioni di fabbisogno di posti letto, sale operatorie, ambulatori e altre strutture ospedaliere. Rientrano dell’investimento concordando un canone di locazione, che comprende anche la gestione per un numero di anni utile a rientrare, il canone lo paga l’azienda. Così si fa prima e sono tutti contenti, questo il refrain: il privato investe a guadagna, il pubblico acquisisce in fretta strutture moderne, efficienti e senza tossire l’importo necessario per costruirle e gestirle. Le cose, almeno in Piemonte, non sono andate così, anzi.

Esistono altre modalità di finanziare opere pubbliche, la principale è quella che tutti conoscono: elaborare un progetto e metterlo in gara, aggiudicando l’esecuzione dei lavori all’impresa che ha praticato le condizioni migliori (si chiama concorrenza); l’ente che commissiona l’opera – nel nostro caso la ASL/ASO – se non ha tutti i soldi per realizzarla chiede un mutuo, di cui poi pagherà le rate per il periodo di tempo necessario a estinguerlo. La Regione Piemonte i soldi li ha, quasi un miliardo, ma non li spende; l’ho dimostrato in più occasioni e fa piacere constatare che finalmente questa consapevolezza si va facendo strada (fonte Agenas). Da poco si è sviluppata una terza opportunità: l’Inail ha molti soldi da investire e ha varato da tempo un piano di investimenti su immobili di pubblica utilità (scuole e ospedali). Si tratta di una condizione molto appetibile perché il canone è vantaggioso, così tanto che Zaia a Toti vi hanno subito fatto ricorso per due ospedali delle regioni di cui sono presidenti.

Oggi, ospedale di Cuneo: il consiglio regionale due anni fa aveva deliberato di costruirlo con Inail, su proposta dell’assessore Icardi. Subito dopo, una raffica di dichiarazioni dello stesso tutte finalizzate ad accreditare l’idea che la proposta di parternariato fosse la migliore modalità possibile. Infine l’affondo: il presidente Cirio e l’assessore Icardi il 15 febbraio di quest’anno si precipitano a Cuneo per spiegare che il PPP è il modo più economico e veloce per costruire il nuovo ospedale. I due fanno addirittura circolare dei dati tratti, a loro dire, dalla proposta del gruppo Dogliani di Narzole che sponsorizzano (anche su questa “anomalia” ho puntato il dito in tempi andati): costo 410 milioni, 149 a carico del Fondo nazionale per l’edilizia ospedaliera, canone annuo di 55 milioni per 20 anni. Vuol dire che un ospedale da 410 milioni finirà per costare oltre un miliardo, più del doppio.

I due continuano a dire che la proposta di PPP era stata valutata come la migliore, ma i contenuti della proposta li conoscono solo loro perché tutte le richieste di accesso agli atti sono state rigettate. Per meglio comprendere l’impatto sull’Azienda Ospedaliera di Cuneo, va detto che il suo ricavo complessivo nel 2021 è stato di 300 milioni circa e che un nuovo ospedale non aumenta il ricavo, semmai le spese. Come faranno a sostenere il pagamento di un canone così alto?

Da un anno vanno ripetendo in ogni occasione pubblica che la proposta di PPP (di Dogliani, l’unica che hanno) è vantaggiosa rispetto alle altre modalità. Per dare il via all’operazione mancano ancora due passaggi: la fattibilità del progetto e la “pubblica utilità”, condizioni che debbono essere certificate proprio dalla Azzan. Anche a lei è giunto lo studio informale che stima nel 25% il risparmio prodotto dall’opzione Inail rispetto a quella del Gruppo Dogliani.

Così, di fronte alla forza del gesto, si sveglia anche il Pd con un sit-in davanti all’ospedale di Cuneo “per la sanità pubblica”, bisticciando con la sindaca anche lei Pd – criticatissima dall’opposizione per la sua arrendevolezza di fronte alle giravolte regionali – che è riuscita a dichiarare a posteriori che “la via migliore per costruire l’ospedale era con i fondi propri, ma non decido io”. Un’altra con la “paura della firma”, il cui atteggiamento stride ancora di più se rapportato a quello coraggioso della Azzan.

Il M5S in Regione sul tema ospedali ha da tempo sollevato la questione, forte di competenze così che potrebbe costruire un’iniziativa politica autorevole e forte, per non fare la fine del Friuli Venezia Giulia, della Lombardia e del Lazio. Intanto la giunta regionale ha nominato non già il nuovo direttore generale, pescando dalla graduatoria degli abilitati per il Piemonte, tutelati anche a fronte delle pressioni politiche. Ha preferito un commissario.