Politica

Carlo De Benedetti incorona Elly Schlein. Ma per fare che cosa?

L’ingegner Carlo De Benedetti, secondo leggenda metropolitana tessera N° 1 del Pd, incorona alla festa del quotidiano Domani, di sua proprietà, Elly Schlein leader di fiducia della borghesia finanziaria sedicente progressista, nella campagna di liberazione dalla “massa di incompetenti” giunti al governo con Giorgia Meloni. La bionda puffetta mannara che sta incominciando a perdere colpi, dopo la semestrale luna di miele con l’elettorato di prammatica, e che l’imprenditore svizzero-torinese bolla affetta da demenza; irrisa per la baracconata del piazzarsi ai comandi di un caccia F35 durante la Festa dell’Aeronautica militare. Tentata versione aggiornata del Mussolini trebbiatore a torso nudo. E Schlein mostra di gradire il viatico, utile più a contenere le mire quale federatore dell’opposizione di un Giuseppe Conte, inviso all’establishment in quanto percepito fin dal suo apparire come un corpo estraneo, più che minacciare la premier.

Comunque il pacchetto di mischia dei Fratelli d’Italia è subito partito lancia in resta a rintuzzare le critiche di De Benedetti, con toni particolarmente accesi da parte di sua nuora: la Jessica Rabbit della terza età Paola Ferrari, nientemeno che “disgustata” dalle parole offensive dell’Ingegnere; che pure le consentono di ostentare vicinanza alla compagine governativa in cui milita la sua grande amica e sodale Daniela Santanché (e magari ricavarne la spintarella per tornare in tv a praticare la caricatura della chiacchiera da bar sport, nella presunzione che si tratti di commento calcistico).

Ma – a prescindere dalle beghe familiari – che cosa effettivamente rappresenta il De Benedetti che incorona la nuova segretaria piddina? Si direbbe poco più che se stesso, visto che tanto il Gotha confindustriale come la vasta area dei padroncini, dopo il temporaneo innamoramento per l’algido banchiere Mario Draghi e un breve interesse per l’ex funzionario dell’associazione con l’aquilotto Carlo Calenda, non danno segno di essere passati all’opposizione nei confronti del governo Meloni; che non saprà gestire una questione che sia una, ma che dà il suo meglio nella campagna elettorale permanente. Sicché promette fattivamente a lorsignori la preziosa garanzia dell’impunità. Così, fino a quando non arriveranno al pettine i disastri clamorosi che pure si annunciano, almeno la neutralità del mondo degli affari è garantita.

Del resto, all’interno dell’establishment finanziario, Carlo De Benedetti è sempre stato un outsider; intraprendente e “liquido” fin che si vuole, ma sempre contropotere. Lo fu nello scontro con Umberto Agnelli, la Famiglia e i dirigenti Fiat nel breve periodo in cui era stato chiamato dall’Avvocato a diventare il nuovo Valletta; e si riconfermò loser nel suo perenne girovagare alla ricerca di un ruolo di prestigio nella business community: nel disegno di riportare l’Olivetti agli antichi fasti e poi di costituire il polo alimentare italiano stoppato da Bettino Craxi; nel 1987 il suo tentativo di scalata alla Société Generale de Belgique del visconte Etienne Davignon venne bloccato per conto della finanza francofona dalla Banque Suez; il contrasto con Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori fu risolto a vantaggio dell’ex Cavaliere grazie alle superiori entrature di costui in quanto ad appoggi politici (mediazione di Giuseppe Ciarrapico su mandato di Giulio Andreotti) e alle superiori capacità di corruttela negli ambienti della magistratura romana (sicché i giudici Vittorio Metta e Renato Squillante vennero rinviati a giudizio). Tutte vicende da cui De Benedetti uscì con molti soldi ma con un pugno di mosche in quanto ad acquisizioni imprenditoriali.

Insomma, Giorgia Meloni lo definirebbe un underdog. Non certo un apporto decisivo per Schlein, che non sembra avere messo a fuoco un concreto modello di blocco sociale cui fare riferimento per contrastare quello aggregato dalla Destra: il mix abbienti e impauriti. Semmai si direbbe muoversi in maniera intermittente: un po’ il rassicuramento del tradizionale elettorato piccista sopravvissuto alle giravolte neoliberiste renziane (ma già dalemiane/veltroniane) e al carrierismo della nomenclatura di partito; un po’ il tentativo di contendere il referente sociale dei Cinquestelle di Giuseppe Conte, rappresentato dalle nuove e vecchie povertà, minacciate dalla furia anti-sociale della Destra.

Mentre si profila la catastrofe delle catastrofi, l’incommensurabile flop in materia di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che sancirà il definitivo fallimento di ogni tentativo di rimettere l’Italia in carreggiata. Alla faccia dei giochetti di tutti i dilettanti allo sbaraglio sulla scena. Carlo De Benedetti compreso.