Diritti

“Universal credit e prime d’activité, così lo Stato ci aiuta”: due testimonianze da Scozia e Francia

di Francesca Scoleri

Ormai, nel nostro Paese, siamo in ostaggio dei media impegnati a raccontare versioni calate dall’alto sul mondo del lavoro. Abbiamo iniziato nei mesi estivi dell’anno scorso a fare i conti coi piagnistei di ristoratori e albergatori a reti e prime pagine unificate: togliete il reddito di cittadinanza o noi saremo costretti a chiudere.

Il concetto che passa: il reddito di cittadinanza genera lazzaroni che con questa ricca elargizione mensile possono fare a meno di lavorare. Il concetto reale: con questa modesta concessione, un individuo può sottrarsi a paghe indecenti che possono raggiungere anche i quattro euro l’ora, turni massacranti da mattino a notte e trattamenti tutt’altro che umani.

Al fine di rendere semplice qualunque approccio con quello che dovrebbe rappresentare un normale e scontato agire verso il fondamento della società, voglio proporvi la testimonianza di due madri italiane che vivono all’estero: una in Scozia e una in Francia.

Rachele: “Vivo in Scozia da 5 anni con la mia famiglia. Mio marito lavora in un ristorante. Quando ha iniziato prendeva il salario minimo – National Living Wage – l’equivalente di 10,47 euro lordi. Oggi prende uno stipendio che equipara 2.200 euro perché la paga oraria è stata aumentata superando il Nlw. Anche i miei figli maggiori lavorano nella ristorazione; il salario minimo per loro che avevano meno di 23 anni, era 8,36 sterline. Oggi hanno superato il Nlw e sono riusciti anche ad accedere a un mutuo per comprare casa. I più piccoli frequentano le scuole superiori; non ho mai speso soldi per libri perché utilizzano dei tablet sui quali studiano e lavorano. A scuola fanno sport, dal calcio al nuoto. Accedono anche alla musica con corsi che prevedono l’uso di moltissimi strumenti e attività che in Italia sarebbero possibili solo dentro un conservatorio (alla modica cifra di 1200 euro l’anno per bambino).

Io lavoro part time. Finalmente posso gestire una mia discreta entrata mensile col tempo da dedicare alla mia famiglia. In Italia facevo due lavori: pulizie di giorno e cameriera in un bar di sera fino a notte inoltrata. La ditta edile in cui lavorava mio marito a Milano era fallita e lui, ormai 50enne, non riusciva a trovare lavoro. Quattro anni di ricerca deprimente. Uscire di casa all’alba e rientrare di notte. Era l’unico modo che avevo per far fronte a tutte le spese. La vita si riduceva a un’enorme frustrazione finalizzata a raccogliere più soldi possibili. I miei figli più grandi avevano lasciato la scuola per aiutare la famiglia, ma passavano da un’esperienza all’altra senza ottenere nulla. Situazioni assurde come la restituzione di parte dei soldi accreditati sul conto perché soggetti a contratti completamente falsi.

Qui in Scozia, in un momento in cui eravamo senza grossi redditi, abbiamo percepito l’universal credit, una somma adeguata all’esigenza della nostra famiglia, che ci ha permesso di pagare l’affitto e anche di far fronte a bollette e spesa. Lo abbiamo percepito anche quando io ho iniziato a lavorare, ma non facevo le ore sufficienti previste dallo Stato per vivere con quattro figli a carico. Che dire. Un altro pianeta rispetto all’Italia”.

Chiara vive in Francia: “Siamo qui da due anni. Ho tre bambini. Mio marito lavora in un’azienda che produce tende da giardino. Dopo un anno di Cdd (contratto a tempo determinato) ha ottenuto un Cdi (indeterminato). Il salario minimo qui è di 10,57 euro. Io frequento una formazione di lingua francese e sono retribuita con 720 euro al mese perché l’apprendimento della lingua favorisce l’accesso al lavoro. Ogni cittadino ha diritto fino a 3 anni di formazione e ce ne sono molte in ogni ambito, in particolare dove c’è più richiesta di personale. I nostri bambini frequentano la scuola primaria.

Il Caf riconosce a mio marito 260 euro al mese di Prime d’activité, una specie d’integrazione allo stipendio. Inoltre, ci devolve 320 euro al mese per il pagamento dell’affitto, Allocation Logement. Ogni tre mesi dichiariamo la nostra situazione e le somme variano a seconda dei cambiamenti dichiarati.

I bambini fanno ogni sorta di sport perché le famiglie non hanno costi esorbitanti; lo Stato investe molto nel settore perché sia facilitata la cura del corpo. Si riducano i problemi di salute e si ricorra meno alla sanità. Ogni anno il Caf destina dei fondi alle vacanze delle famiglie; non ci potevo credere quando sul loro sito ho letto Tous les enfants ont droit aux vacances, tutti i bambini hanno diritto alle vacanze. La settimana lavorativa qui è di 35 ore, cinque settimane di ferie l’anno e salari più alti dei nostri. Mi chiedo in cosa eravamo impegnati in Italia mentre all’estero ottenevano questi risultati di dignità e civiltà“.

Vedendo le immagini che arrivano dalla piazze francesi è facile dedurre in cosa non ci siamo impegnati mentre i governi, a turno, cancellavano tutele e diritti. Ringrazio queste due madri per le testimonianze e so che oggi, a distanza di anni, anche le rispettive famiglie le ringraziano per aver preso la decisione di espatriare.

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