Economia & Lobby

Crac Silicon Valley Bank, siamo sulla strada di fallimenti e implosioni sistemiche

Con il crac di Silicon Valley Bank, peso massimo nell’arena startup e high tech americana, è evidente che molti dei destinatari di soldi stampati a gogò per anni dalle banche centrali (Fed + Bce) stanno ora implodendo, scricchiolano o sono sul punto di perdere il monopolio dell’accumulazione gratuita di denaro.

La verità è che dei 9 trilioni di dollari ed euro elargiti da Bce e Federal Reserve dal 2015 in poi, neanche una briciola è andata a dipendenti, lavoratori e piccole aziende. Il diluvio di liquidità dei banchieri centrali è finito nelle tasche di pochi privilegiati: banche come SVB o piattaforme di criptovalute come FTX (ambedue fallite), multinazionali e mega imprese, la grande finanza globale. Il risultato di troppi anni di irresponsabile ZIRP (zero interest rate policy) di marca Fed e Bce? Bolle finanziarie immense. Capitalismo al suo peggio. Alimentatore di sé stesso, nel ruolo di scommettitore e banco del casinò. Una finta partita di giro senza pari.

Cosa sta accadendo? Con l’inflazione e i tassi d’interesse saliti in modo drastico (ben prima della guerra in Ucraina) ora – lentamente ma inesorabilmente – siamo sulla strada di fallimenti e implosioni sparpagliate nei vari settori fin qui garantiti dal denaro facile a tassi zero. Ecco quindi i crack, i crolli, i fallimenti nell’high tech, Ipo, startup, leveraged banking, fintech, criptovalute, immobiliare eccetera.

La blockchain è forse l’unica buona tecnologia che merita di sopravvivere, con possibilità di più ampia adozione. Anche il bitcoin è un potenziale candidato al futuro, a certe condizioni, con una bella sforbiciata al trading più speculativo e alla cupola dei fondatori. Invece tutti coloro che hanno investito ed evangelizzato centinaia di shitcoin e NTF (non fungible token) saranno spazzati via, insieme alla loro avidità, dal normale ribilanciamento degli asset e dal collasso di innumerevoli schemi Ponzi ora che Fed e Bce hanno cominciato a rimpiazzare il QE espansivo con il QT (Quantitative tightening) restrittivo.

Non è chiaro però se tutti capiscano quanto serio sia l’attuale contesto finanziario. Anche dopo che FTX e Silicon Valley Bank sono andate pancia all’aria, troppi guru ed economisti del partito “ben connessi & speculatori” appaiono ancora in cerca di un pulpito, mentre invocano come dischi rotti crescita e rialzi in borsa: aspirano solo ad un altro giro di giostra in quel carnevale di soldi facili in cui per troppo tempo hanno sguazzato impunemente.

SVB è un caso grave, e infatti domenica notte le autorità Usa di controllo del mercato finanziario – Federal Reserve, Ministero del Tesoro e Fdic – sono intervenute congiuntamente per calmare i mercati ed evitare il rischio contagio. Quasi la metà delle startup tecnologiche americane e delle bioscienze sostenute da venture capital erano clienti di SVB. Negli ultimi tempi con il rialzo dei tassi quelle aziende “innovative” hanno bruciato le riserve di liquidità per rimanere a galla, e ciò significa che i depositi, una volta stracolmi del denaro a gogò “made in Fed”, sono evaporati fino a diventare una pozzanghera.

La banca ha risposto con la brillante idea di vendere obbligazioni per raccattare denaro fresco. Il problema è che SVB aveva acquistato quei bond con l’high tech all’apice, per cui il valore è crollato con l’aumento dei tassi. I presupposti della tipica situazione da “effetto domino”: quando una banca fallisce, non porta solo discredito alla singola azienda, ma all’intero settore. L’intrinseca esposizione intersettoriale derivante dal crac di SVB non è però così grande come nei fallimenti di Bear Stearns o Lehman Brothers che nel 2008 scatenarono la Grande Crisi Finanziaria globale. Detto ciò il rischio contagio non è nullo, motivo per cui i depositanti sono stati protetti prima che i rischi si amplificassero.

Quando i clienti ansiosi cercano tutti insieme di ritirare i loro soldi, è corsa agli sportelli. In questo scenario, cosa ci si può aspettare? Volatilità certamente, ma non che le migliori banche statunitensi saltino: in generale rispetto al caso californiano il sistema bancario degli Stati Uniti è meno impegnato in investimenti “problematici” e speculativi, cioè le banche sono più sicure (come in genere accade anche in Italia). Tuttavia, non si sa mai. Per un motivo molto semplice: gli istituti di credito vivono essenzialmente di fiducia, poiché possiedono “fisicamente” solo il 3 per cento dei depositi (il 97 per cento del denaro è elettronico, un click sul computer). Corollario, la capacità di rimborsare i clienti nel caso si presentassero in massa allo sportello è quasi zero. Normalmente non è un problema, cioè non accade, ma quando la fiducia nel sistema viene meno (e il crac SVB conferma l’assunto) l’equazione cambia radicalmente.

Come scrisse il giornalista economico-finanziario britannico Walter Bagehot nel lontano 1873: “Ogni banchiere sa che, se deve dimostrare di essere degno di credito, per quanto buoni possano essere i suoi argomenti, in realtà il suo credito a quel punto è già andato.”