Mafie

Matteo Messina Denaro, arrestata la sorella del boss Rosalia: “Gestiva la cassa della famiglia e la trasmissione dei pizzini”

Rosalia detta Rosetta è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, assiste il capomafia. Secondo gli inquirenti potrebbe aver incontrato più volte il fratello. In casa sua trovato il pizzino che ha originato l'inchiesta che ha portato alla cattura del boss. Il gip: ""Paziente tessitrice dei conflitti tra i parenti. Si sentiva parte di Cosa nostra"

Un pizzino nascosto in una sedia contiene la verità sull’arresto di Matteo Messina Denaro. È in un foglietto di carta che Rosalia Messina Denaro aveva appuntato dettagli rilevanti sulla malattia del fratello. Un appunto trovato dai carabinieri del Ros, fotografato e rimesso al suo posto. Dove è rimasto fino a oggi che i militari sono tornati a Castelvetrano per arrestare la sorella del boss delle stragi. Rosalia Messina Denaro è accusata di associazione mafiosa: l’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ed è il naturale seguito di tutte le indagini che erano già avviate sul boss da anni e proseguite un minuto dopo aver rintracciato in quella clinica di Palermo, il 16 gennaio scorso, il padrino che sotto falso nome andava a curarsi.

Il pizzino sulla malattia di Matteo – Secondo gli inquirenti, la donna, 68 anni fra una settimana “di origini e tradizioni tutte ispirate da una ortodossa e granitica cultura mafiosa”, ha aiutato per anni il fratello a sottrarsi alla cattura e ha gestito per suo conto la “cassa” della “famiglia” e la rete di trasmissione dei ‘pizzini’, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza. Dopo Andrea Bonafede, l’uomo che gli ha prestato l’identità, e Alfonso Tamburello, il medico che lo ha curato negli ultimi due anni, finisce in carcere anche una parente stretta dell’ex inafferrabile. È stato proprio un appunto dettagliato sulle condizioni di salute di Messina Denaro, scritto dalla sorella Rosalia e da lei nascosto nell’intercapedine di una sedia, a dare agli investigatori l’input che ha portato, il 16 gennaio scorso, all’arresto del capomafia. Lo scritto è stato scoperto dai carabinieri del Ros il 6 dicembre scorso mentre piazzavano delle cimici nella abitazione della donna. L’operazione che ha portato all’arresto di Rosalia Messina Denaro è stata condotta dal Ros, dai carabinieri del Comando provinciale di Trapani e dello squadrone eliportato dei Cacciatori di Sicilia. La misura cautelare è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto. Dopo i “continui e incessanti arresti che hanno flagellato e decimato la famiglia di sangue del latitante, “Rosetta” – evidenzia il gip – ha negli anni svolto il ruolo può dirsi forse più affidabile: quello di referente per tutti gli affari di famiglia (intesi come risoluzione dei problemi che riguardavano singoli componenti della famiglia di origine del latitante, o più in generale la sua sfera affettiva) e quella di fedele detentrice del denaro contante, cioè di quelle somme oggetto di provenienza illecita che ella incassava periodicamente, parte delle quali faceva pervenire” al fratello “per consentirgli a sua volta di sottrarsi all’esecuzione della pena e di continuare a svolgere, anche grazie a quelle risorse economiche, le funzioni apicali in Cosa nostra”.

Il blitz, la foto del pizzino poi rimesso al suo posto– “La progressione investigativa che ha condotto allo storico risultato della cattura dell’ultimo grande stragista è stata originata da uno scritto, improvvidamente custodito, sebbene abilmente occultato, proprio da Rosalia Messina Denaro. Il che dimostra che la donna era stata passo passo resa edotta dal latitante della scoperta della malattia e di tutti i successivi interventi chirurgici, avendo avuto probabilmente più volte occasioni per incontrarlo di persona e sincerarsi delle sue condizioni di salute”. Il promemoria di Rosetta Messina Denaro è stato fotografato e rimesso al suo posto. Il giorno della cattura del capomafia gli inquirenti, perquisendo l’appartamento di Rosalia, l’hanno trovato esattamente nello stesso posto in cui l’avevano scoperto. Era rimasto lì, segno che sorella del capomafia continuava a ritenere sicuro il nascondiglio e non si è mai accorta della “visita” dei carabinieri. “È dunque certo – spiega la Procura riportata dal gip – che sia stata Rosalia ad annotare sul ‘pizzino’ di volta in volta la progressione della malattia, delle cure effettuate e delle condizioni fisiche del fratello; ed è altrettanto certo che la scelta di conservare un grezzo diario clinico di Messina Denaro ha di fatto consentito alla polizia giudiziaria di acquisire fondamentali e decisive informazioni sulla possibilità di localizzare il latitante”. Nel corso delle indagini sul ricercato, erano già emerse informazioni sulle sue malattie. Non quelle oncologiche che hanno portato al suo arresto, però. Grazie ad alcune intercettazioni, infatti, nel 2022, si intuì che il boss potesse soffrire di una riacutizzazione del morbo di Chron. Circostanza che aveva indirizzato gli inquirenti verso quel percorso diagnostico. La pista però non diede risultati.

“La sorella del boss paziente tessitrice” – Per il giudice, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, Rosalia “ha costituito un importantissimo punto di snodo delle comunicazioni del fratello latitante, non soltanto con i membri della sua famiglia di origine (fatto che, di per sé, sarebbe privo di rilevanza penale), ma, soprattutto, ed è ciò che qui rileva, con un elevato numero di soggetti a vario titolo coinvolti nelle attività di interesse dell’associazione mafiosa ‘Cosa Nostra‘ operante nel territorio di Castelvetrano e comuni limitrofi di cui il latitante medesimo costituiva – ed ha continuato a costituire sino al suo arresto – il vertice incontestato ed incontrastato”. Per il gip Rosalia era per il capo mafia “paziente tessitrice dei conflitti tra i parenti, di riservata veicolatrice delle decisioni del latitante su questioni di carattere familiare, nonché di vera e propria cassiera, incaricata dal fratello di ricevere ingenti somme di denaro, di custodirle, rendicontarle e all’occorrenza distribuirle. E, infine ma non per ultimo, di canale di smistamento dei ‘pizzini’ tra il latitante e altri associati mafiosi” che avevano fantasiosi nomi in codice o nickname come li chiama il giudice. La 68enne, accusata di associazione mafiosa, era la “cassiera, incaricata dal fratello di ricevere ingenti somme di denaro, di custodirle, rendicontarle e all’occorrenza distribuirle”. Come dimostra, spiega il gip, un “documento di assoluta chiarezza” trovato nell’abitazione dell’arrestata “in via Alberto Mario”.

Il nascondiglio dei pizzino –“Sempre nella gamba della sedia presente nel salone della casa (ove abitualmente la donna è solita stirare), veniva trovato – minuziosamente occultato insieme ad altri – un ‘pizzino’ attribuibile all’evidenza all’allora latitante”. Messaggio scritto in cui il padrino ricorda al destinatario “l’esistenza di una grossa provvista (64.100} e le spese già affrontate (12.400} con riferimento ad un periodo appena trascorso. E altrettanto univoco è l’ordine che impartisce a chi avrebbe ricevuto il ‘pizzino’ su quanto spendere per il periodo successivo (‘per il prossimo periodo devi spendere di nuovo 12.400’ ). Tale espressione rivela con certezza – annota il magistrato – l’esistenza di un fondo riservato: il tenore della espressione ‘devi’ (e non puoi) lascia certamente intendere che trattasi di somme da utilizzare non per il personale soddisfacimento di chi le aveva in custodia, ossia il destinatario del ‘pizzino’, ma assai verosimilmente doveva essere costui a sua volta a distribuire il denaro a terzi. La cassa è espressione oramai divenuta notoria con la quale le famiglie di Cosa nostra indicano la giacenza alimentata dai proventi illeciti di denaro in contanti, pronto a essere utilizzato, con cui il gruppo, l’articolazione o il mandamento mafioso fa fronte alle spese per i detenuti, per le loro famiglie, per gli onorari dei legali e più in generale per i bisogni degli associati”. “Infine, che “Rosetta” svolgesse il compito, in modo costante e ripetuto almeno negli ultimi 10 anni, di fedele cassiera obbligata a rendicontare scrupolosamente al capo mafia ogni spesa affrontata o ogni somma elargita ai sodali, è immediatamente desumibile da ulteriore espressione utilizzata dal latitante nello scritto: ‘Mi fai sempre lo spekkietto finale, così so quanto è la cassa‘”.

Gli insulti di Rosetta contro la tv Rosalia Messina Denaro è, per gli inquirenti, a tutti gli effetti non solo giuridici una componente della mafia. “Nel condividere e sposare appieno la latitanza del fratello, in uno dei tanti “pizzini” rinvenuti nella casa familiare Rosalia non esitava a scagliarsi contro i contenuti di una trasmissione su Rainews 24, che aveva dato notizia il 3 agosto 2015 dell’esecuzione di una misura cautelare a carico di un ristretto numero di uomini d’onore che in quel momento gestivano la catena dei “pizzini” da e per il latitante. Al di là della violenza delle espressioni utilizzate (”fanno schifo … ti insultano, dopo avere arrestato persone a te care, lo fanno apposta ..), in questa sede rileva l’evidente contributo della donna finalizzato a rafforzare la determinazione di Messina Denaro nel continuare – riflette il gip – a essere a capo di una organizzazione così feroce e violenta, di cui ella stessa sentiva di far parte, ignorando e tacciando di persecuzione le iniziative giudiziarie per disarticolare l’organizzazione”.

Il boss e le intercettazioni – Il boss conosceva perfettamente il sistema utilizzato dagli inquirenti per trasmettere il segnale delle cimici e delle microspie. In un pizzino a Rosetta dettaglia tutti i passaggi, soffermandosi sulle “cassette di rilancio segnale”, un sistema utilizzato proprio dagli inquirenti palermitani. Il giudice per le indagini preliminari, Alfredo Montalto, sottolinea come “in attesa di analizzarne più compiutamente il contenuto e i suoi possibili riferimenti, può da subito evidenziarsi che l’evidente tecnicismo lessicale utilizzato (ad esempio quando fa riferimento alle “cassette di rilancio segnale” che vengono impiegate per occultare la trasmissione dei segnali audio e video), fa senza dubbio ipotizzare il potenziale coinvolgimento di appartenenti alle forze dell’ordine o di specialisti forniti di uno specifico know how nel settore, unici in possesso di tali preziose informazioni”. Per i magistrati dunque potrebbe esserci qualcuno che informava il boss degli ultimi ritrovati tecnologici utilizzati dalle forze dell’ordine per controllare la sua famiglia.

La falla nel sistema – Nel sistema del latitante finora ancora più impenetrabile di quello degli altri capi, però, c’era una falla. Per anni Messina Denaro ha adottato mille cautele, prima fra tutte quella di non lasciare traccia dei biglietti che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura. Stavolta però il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”. Un errore che ha commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”. Errori che hanno consentito ai carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.

La dinasty Messina Denaro – Rosalia detta Rosetta, la maggiore delle quattro sorelle di Messina Denaro, è madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, assiste il capomafia, e moglie di Filippo Guttadauro che ha scontato 14 anni per associazione mafiosa ed è tuttora in carcere al cosiddetto ‘ergastolo bianco’. Il secondo figlio della donna, Francesco, nipote prediletto del padrino trapanese, sta espiando una condanna a 16 anni sempre per associazione mafiosa. Pur se sepolti dagli ergastoli e da centinaia di anni di carcere, indagati da sempre e per questo costretti a una maniacale cautela, non hanno mai abiurato la “fede” mafiosa. Una Dinasty criminale quella dei Messina Denaro, storica famiglia mafiosa di Castelvetrano che oggi con l’arresto di Rosalia, sorella dell’ex latitante Matteo perde un altro pezzo. In principio fu don Ciccio, boss indiscusso del mandamento, morto in latitanza. Il suo corpo, pronto per la sepoltura, fu trovato il 30 novembre del 1998 per strada dopo una chiamata anonima alla polizia. Don Ciccio aveva quattro figlie femmine e due maschi. Dei maschi, l’erede designato al vertice della famiglia, Matteo, è stato catturato il 16 gennaio dopo una caccia lunga 30 anni. L’altro, Salvatore, il primogenito, scarcerato nel 2006 dopo avere scontato una condanna per mafia, è stato riarrestato con le stesse accuse nel 2010. Non è andata meglio alle figlie femmine e al resto della famiglia: sono in carcere Patrizia, condannata in via definitiva a 16 anni per associazione mafiosa e il marito Vincenzo Panicola; è morto in cella Rosario Allegra, marito di Giovanna ed è detenuto al 41 bis Gaspare Como, marito di Bice. Oggi è toccato a Rosalia.