Società

Il fine ultimo della cultura per me non è la conoscenza, ma la consapevolezza

Il pensiero a tutti è dato, il criticare a nessuno manca, ma del pensiero critico non c’è traccia. Complice un imbarbarimento mediatico che produce contenuti inutili, ridondanti, osannanti il politically correct e giovani menti private ormai da diversi anni di un livello di scolarizzazione decente. Il concetto di cultura e l’esistenza stessa di quest’ultima, mai come oggi, sembrano orpelli del passato, fortunatamente non ancora molto lontano per alcun di noi da non rendersene conto, forse ancora abbastanza vicino da far male a questi stessi.

Ho sempre pensato che il fine ultimo della cultura non fosse la conoscenza tout court, ma la consapevolezza. C’è un limite alle informazioni che si possono immagazzinare, ma questo limite è sempre sorpassabile quando si tratta di conoscere noi stessi, gli altri e le relazioni che ne conseguono. Acquisire informazioni, allenare la mente, confrontare, dubitare, imparare a tollerare la diversità, saper render conto della propria diversità senza imporla è il risultato di una mente consapevole, non di una mente piena di nozioni e informazioni, per quanto utili.

La cultura ha il grande merito di essere accessibile a tutti, in quanto le sue diramazioni sono molteplici. Letteratura, scrittura, arte, poesia, pittura – per dirne alcune – sono un capo di abbigliamento le cui taglie non mancano mai per nessuno: in magazzino si trova sempre qualcosa. Tutti possono accedere alla cultura, tutti possono creare cultura, ma non tutti hanno le capacità e le intuizioni per farlo, ma già anche il solo accesso libero e a piene mani porta a una vita che vale la pena di essere vissuta.

Tutti possono accedere alla consapevolezza, tutti possono creare consapevolezza, tutti hanno le capacità e le intuizioni per farlo, ma questo sembra avvenire sempre meno. Le persone consapevoli creano problemi, fratture, fanno domande, non si accontentano, possono risultare scomode e non facilmente governabili. Cui prodest?

La consapevolezza ti porta a guardare te stesso da fuori e a provare a guardare l’altro da dentro. Il criticare lascia posto al comprendere, comprendere calma o quantomeno argina, fa dell’altro strumento per mettersi alla prova e conoscersi maggiormente. Nella consapevolezza so fare del nemico un ulteriore modo per conoscere qualcosa di me. Non sono le scelte dell’altro necessariamente a qualificarlo, non se non siamo in grado di comprenderle. Ma come vi reagiamo qualifica noi in quanto invece possessori del nostro conoscerci. Riflettere significa rimandare indietro qualcosa, questo qualcosa siamo noi che torniamo a noi stessi una volta incontrato l’altro. Speriamo migliori.

Vignetta di Pietro Vanessi