Diritti

Il caso del Pertini ha scoperchiato un vaso di Pandora: il non detto delle madri ora trova voce

Apprensive, esasperati, troppo accudenti, poco accudenti, poco inclini al sacrificio, insicure e paranoiche. Sono solo alcune delle etichette che vengono affibbiate alle madri fin dalla loro nascita. Parlo di nascita di una madre perché quest’ultima nasce insieme al bambino e come tutti i neonati ha bisogno di accortezze e comprensione.

Il caso del Pertini riapre una voragine che fagocita la maternità in Italia, da sempre, farcita di stereotipi e sacrificio materno a tutti i costi. Quando i figli crescono, come nel mio caso, quelle ore successive al parto sembrano lontane, ma il senso di quel che è stato resta nell’idea che “se ci fosse stata la me di oggi a occuparsi della me di allora tutto sarebbe stato diverso”. Perché? Perché avrei usato parole rassicuranti, perché sarei stata comprensiva e presente. Ma non ci possiamo sdoppiare, né ora né allora, e nei giorni delicati del post parto la bolla in cui galleggiamo ha bisogno di essere avvolta altrimenti scoppia.

Non è una novità se diciamo che nei reparti maternità raramente una donna riceve la comprensione necessaria. E non tanto per negligenza quanto per una costruzione sociale e culturale in base alla quale “ora che sei madre te la devi cavare da sola, fin dai primi minuti”, senza scampo e soprattutto senza concessioni. La maternità è vista come il sacrificio estremo: se nella vita è dato per certo che tutti gli esseri umani abbiano bisogno prima o poi di aiuto, questo non sembra valere per le madri. C’è una lunga scia di mistificazione dietro la maternità che porta le donne a sentirsi inadeguate se dopo una lunga gravidanza e un lungo e faticoso travaglio non sono lucide e reattive fin dall’inizio.

C’è la vergogna dietro una richiesta, che solitamente viene accolta dietro un borbottìo di scocciature perché in fondo il figlio è tuo e te la devi cavare anche se stai male, hai sonno, sei stanca o vuoi semplicemente prendere le distanze. Il problema non è il rooming in, il problema (come sempre quando si parla di donne) è la mancanza di scelta. E i servizi che le mamme hanno a disposizione subito dopo il parto.

Di fronte a questa vicenda, il coro unanime e solidale di tutte le donne che hanno speso parole di comprensione verso un’altra donna testimonia quanto il tema sia sentito. Nessuna parola di troppo, ma solidarietà ed empatia perché “quello che è successo a lei poteva succedere anche a me”. I padri e gli uomini in generale invece sono intervenuti meno, segno che la nascita di un bambino è ancora qualcosa “di donne” e invece si è genitori in due fin dal primo istante, ma soprattutto investe tutto il sistema sociale. La retorica della maternità e le aspettative della società verso il cosiddetto “istinto materno”, l’aria di sufficienza nei confronti delle richieste di una partoriente e la mole di ovvietà intorno al suo ruolo rende invisibili i bisogni reali agli occhi delle stesse madri, perché il timore dell’inadeguatezza è qualcosa che ti insinuano dentro fin dalle prime settimane di gravidanza.

Abbiamo scoperchiato un vaso di Pandora, il non detto o detto a bassa voce per paura di non essere abbastanza coraggiose ha trovato la voce che meritava. Una voce mista a lacrime perché quando muore un figlio piangono tutte le mamme del mondo.