Mafie

Messina Denaro: che tristezza quando un caso di mafia è trattato come fenomeno di costume

di Lorenzo Vecchia

A che serve? A che cosa è servito? Sia chiaro: può essere stato utile, in parte, per lenire il dolore delle famiglie delle vittime. Quelle che attendevano giustizia. Una giustizia che peraltro non avranno mai. O almeno, non completamente. Sapere che adesso, almeno, non è più libero. Punto. Tutto qui. Una minima consolazione che allevia i pensieri e alleggerisce l’anima. Forse.

In realtà, personalmente, la cattura e l’arresto di Matteo Messina Denaro, non riesce a suscitarmi alcuna emozione particolare. Anzi, una. Solo una: infinita tristezza. La tristezza ispirata da quelle ataviche “fanfare all’italiana” sempre pronte a esaltare ogni evento di questo tipo. Noi italiani siamo fatti così. Attitudine viscerale per l’esaltazione, capacità di analisi pari praticamente a zero.

E poi, la tristezza che ci viene inflitta dalla bulimia mediatica, tipica del nostro Paese, costantemente propensa a raccontare, raccontare e raccontare per dire niente. Solo un esempio, piccolo: la patetica ricerca di una dichiarazione da parte dei figli dell’autista di Messina Denaro, nel momento in cui le loro proprietà erano soggette a una perquisizione. Non ho capito: che cosa si sperava che dicessero? Santissimo ottimismo dei giornalisti nostrani.

E qui torna la domanda iniziale. A che cosa serve? A che serve l’esaltazione dei media? A che serve la nostra esaltazione popolare, figlia (legittima?) dell’esaltazione dei media? A che serve il giornalismo tardivo e ritardato che non può aggiungere nulla a quanto risulta saputo e risaputo (e quello che non si sa lo si può ampiamente immaginare, alla luce dell’indiscutibile “reiterazione” di avvenimenti del genere, accomunati da una matrice pressoché identica)?

E qui torna invece il mio sentimento: tristezza. Tristezza perché non ci sarà mai una giustizia. Una giustizia vera, intendo. Profonda, totale, precisa. Niente. L’ex-boss si porterà nella tomba tutti i suoi segreti. Non avrà mai il pudore, nemmeno in punto di morte, di condividere la sua storia con i suoi connazionali, benché la sua storia li riguardi direttamente e li abbia segnati in maniera radicale.

La giustizia rimarrà, come sempre, un aspetto aleatorio. Verrebbe da dire perfino marginale rispetto alla spettacolarizzazione dell’avvenimento. Rimane lì, in sottofondo. Non ci vedo nulla di storico, in tutto questo. Vedo solo una vecchia storia che si ripete. Quella di un boss vecchio o malato che, in procinto di morire, assicura una continuità di potere nelle mani di chissà chi, si lascia arrestare (credo sapesse che quello stesso giorno lo avrebbero trovato e arrestato). Fa sparire qualunque cosa dai suoi covi e si fa beffe di quel piccolo dettaglio chiamato appunto giustizia affermando che non collaborerà mai.

Tristezza. Perché è un evento che dovrebbe in teoria contribuire a voltare pagina, che dovrebbe trasformarsi in un incipit per una nuova storia, che dovrebbe aprire altre strade oltre a chiudere definitivamente quella vecchia. E mi riferisco alla strada della legalità e della giustizia. Un evento di tale portata non solo non ci potrà svelare ciò che da decenni ci viene occultato, non solo non andrà a squarciare il buio secolare in cui viviamo, non solo non aiuterà al fine di sentirci raccontare la verità, non solo non farà luce e non ci aprirà gli occhi, ma, “cornuti e mazziati”, ci viene descritto al pari di un qualsiasi avvenimento di costume. Come se la mafia fosse nient’altro che un fenomeno di mero folclore! Intanto, il “chissà chi” che ha raccolto il testimone si appresta a giganteggiare indisturbato. Arrivederci alla prossima staffetta.

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