Società

Il dissenso è dialettica, ma per il potere nostrano è delitto di lesa maestà

di Carmelo Sant’Angelo

“Il dissenso è la forma più nobile di patriottismo”. Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti d’America, evidentemente non poteva prevedere l’ascesa dei patrioti italici all’amatriciana. Per loro vale il motto “molti nemici, tanto onore”, perché chi dissente è soltanto un nemico.

Il dissenso non è l’altro lato della medaglia della narrazione corrente, non è una discordanza di opinioni, non è il tentativo di sottrarsi al pensiero unico, né il gesto inopinato per non allinearsi al diktat dell’autorità; per il Potere il dissenso è pura ostilità, è una condotta eretica, empia, irriverente, sacrilega e come tale va annientata.

L’intolleranza al dissenso non è una prerogativa della destra settaria, ma è un tarlo che corrode le fondamenta delle nostre democrazie occidentali. Per la “democrazia che decide” il dissenso è ovunque un inciampo, un freno, un ostacolo, ma in Italia diventa lesa maestà.

Gli unici dissenzienti coccolati sono quelli dei nostri nemici: sono i renitenti alla coscrizione russa; i “guaidò” venezuelani; gli oppositori degli ayatollah o dei mullah; gli anticastristi e, nel nostro gretto provincialismo, persino i malmostosi fuoriusciti dai 5 stelle.

Davanti ai dissenzienti dell’ordine costituito assistiamo, invece, a scene isteriche, puerili e irrazionali. Si allestiscono pire per irriverenti ambientalisti; crocifissioni per chi osa allontanarsi da una narrazione semplicistica sul conflitto in Ucraina; autodafè per chi incautamente voglia ragionare sui cascami del green pass. Mentre s’invocano misure draconiane contro costoro siamo talmente indulgenti da offrire scudi penali su chi colora di rosso (con le polveri di ferro) i quartieri di Taranto; derubrichiamo a bagatelle l’armamentario nazista del battaglione Azov; occultiamo l’audizione del rappresentante della Pfizer al Parlamento europeo perché contrasta con precedenti affermazioni del premier evidentemente prive di fondamento.

Il dissenso si spegne con querele temerarie (le ultime sono state annunciate dal ministro dell’Istruzione contro gli studenti che chiedono una riforma dell’alternanza scuola-lavoro), con campagne orchestrate dai tg-scendiletto dei partiti che sorreggono l’establishment oppure con il silenzio. Questa è l’arma più micidiale, perché ciò che non passa in televisione non esiste. Così, a quanto mi risulta, Rainews avrebbe oscurato l’assalto alle istituzioni in Brasile, per non dovere menzionare i sodali scomodi dei nuovi padroni dell’etere. Il procuratore Gratteri convoca una conferenza stampa per annunciare provocatoriamente che ha arrestato “duecento presunti innocenti” e la notizia non valica i confini del distretto di Catanzaro per non screditare l’eccelso operato del Guardasigilli pro-tempore.

Il sociologo De Masi riferisce di aver saputo direttamente da Grillo che l’allora premier brigava per la rimozione del capo del partito di maggioranza relativa e nessun telegiornale ritiene che essa sia una notizia. Eppure avrebbe meritato la stessa enfasi che si conferisce al titolo “bambino morde cane”, perché nella nostra Costituzione è il governo che deve godere della fiducia della maggioranza e non viceversa.

L’idiosincrasia per il dissenso è il collante del potere e si esprime attraverso i segni linguistici (i politici non allineati sono “dissidenti”), mediante una legge elettorale che premia i fedeli del capo oppure strozzando il dibattito parlamentare: questioni di fiducia; maxi-emendamenti; emendamenti super-canguro e, infine, la “ghigliottina”. Così muoiono le democrazie. Annientate da una classe dirigente che si sottrae ad un confronto franco e aperto con chi dissente.

Il confronto è il pane quotidiano della democrazia, che rifugge da verità precostituite. Anche se il dissenso veicola talvolta pensieri che riteniamo assurdi, l’unica risposta possibile, in una democrazia matura, è la sconfitta del pensiero “inaccettabile” sul piano dialettico.

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