Calcio

Sinisa Mihajlovic è morto, aveva 53 anni. La famiglia: “Uomo unico, professionista straordinario”

L'allenatore ed ex calciatore serbo era malato di leucemia: lo aveva annunciato lui stesso nel luglio 2019 in una commovente conferenza stampa. Dopo una lunga battaglia, a marzo aveva avuto una ricaduta. Il messaggio di moglie, figli e parenti: "Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l'amore che ci ha regalato"

Sinisa Mihajlovic è morto in una clinica di Roma a 53 anni. L’allenatore ed ex calciatore serbo era da tempo malato di leucemia. Dal luglio 2019 stava combattendo la sua battaglia, lo scorso marzo c’era stata la ricaduta. Le sue condizioni di salute preoccupavano da giorni. Mihajlovic ha avuto una carriera straordinaria, cominciata con i successi con la Stella Rossa. Poi Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. Infine, da allenatore ha avuto il suo apice a Bologna, dove Sinisa è rimasto per tre anni stringendo un legame unico con città e tifoseria, specialmente nell’ultimo periodo, durante il quale ha combattuto la malattia e guidato i rossoblù dalla panchina.

L’annuncio della morte è arrivato con un comunicato della famiglia: “La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti”. “Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato”, concludono i familiari.


Mihajlovic a Bologna, quando i tifosi gli regalarono una bandiera della Serbia

“Mi sono rotto di piangere, non ho più lacrime. Ora mi godo ogni momento”, dichiarò nel novembre del 2019 Sinisa Mihajlovic quando, dopo aver annunciato quattro mesi prima di essere affetto da leucemia mieloide acuta, strappò sorrisi pieni di commozione ringraziando per l’affetto e la vicinanza dei tifosi del Bologna e dei suoi fan, impazienti di ritrovarlo sulla panchina dei rossoblù. L’ex centrocampista serbo esploso nelle file del Vojvodina e poi nella Stella Rossa prima di trovare un nuovo amore e una seconda patria in Italia prima alla Roma, poi alla Sampdoria, Lazio e Inter non si è mai sentito un eroe per quello che stava affrontando.

Per oltre due anni e mezzo ha dato forza e coraggio a quanti come lui sono scesi in campo per sfidare una malattia che dopo averla domata lo scorso marzo è tornato a colpire il suo fisico dopo vari cicli di chemioterapia e un trapianto di midollo osseo donatogli da un ragazzo degli Stati Uniti, Paese che non amava dopo il bombardamento Nato della Serbia. Dotato di un sinistro potente e preciso, è ritenuto uno dei maggiori specialisti della sua generazione nell’esecuzione di calci piazzati, reputazione acquisita durante la sua militanza nelle fila della Stella Rossa, tanto che il suo tiro (spesso scagliato oltre i 150 chilometri orari) divenne oggetto di studio di alcuni ricercatori del dipartimento di fisica dell’Università di Belgrado.

Iniziò la sua avventura da tecnico facendo il vice allenatore all’Inter guidata da Roberto Mancini, per poi approdare a Bologna, Catania, Fiorentina, diventare ct della Serbia (mancando la qualificazione ai Mondiali del 2014) per poi tornare in Italia, alla guida di Milan e Torino. Dopo una parentesi allo Sporting Lisbona durata lo spazio di appena nove giorni (sollevato dall’incarico dal nuovo presidente), si era accasato nel 2019 nuovamente sulla panchina del Bologna in sostituzione dell’esonerato Filippo Inzaghi.

In carriera ha conquistato una Coppa dei Campioni nel 1990-91 con la Stella Rossa, una Coppa delle Coppe e una Coppa Uefa con la Lazio (nel 1998 e nel 1999), tre campionati jugoslavi (uno con il Vojvodina e due con la Stella Rossa), due scudetti con Lazio (1999-2000) e Inter (2005-2006), quattro Coppe Italia (due in biancoceleste e due in nerazzurro) e tre Supercoppa italiana. Miha non era veloce ma, come gli riconoscevano i suoi avversari, sapeva sempre dove finiva la palla. “La leucemia? Spero dopo questa esperienza di uscire come uomo migliore. Nella vita precedente, la pazienza non era il mio forte ma la pazienza in questi casi la devi avere per forza“, ammise senza pietismi.