Cultura

Tutti vogliono andare a Pompei, ma Oplontis è altra cosa. Cari archeologi, piano con gli scavi!

Oplontis, luogo “segreto” e meraviglioso. Segreto? Fino a un certo punto: nel 2019 è stato visitato da 55.594 persone (+44% sul 2000)! Si tratta pur sempre di piccoli numeri, rispetto al mezzo milione di visitatori di Ercolano e ai 4 milioni (+67%) di Pompei.

Tutti vogliono andare a Pompei. Eppure, a Pompei non è rimasto nulla, a parte le mura, le strade, e la Villa dei Misteri: bisogna leggere le aride pietre, per intuire l’antica vita quotidiana. Per esempio, i 55 fast-food e i 600 negozi (a riconoscerli!) per 11.000 abitanti, i graffiti (a trovarli! A decifrarli!), il sistema idrico e stradale, la struttura delle abitazioni, ci parlano di un’estrema divisione del lavoro (benessere), dell’alfabetizzazione (spettacolare), di politiche pubbliche, della vita domestica accogliente verso gli altri, ecc.. Ma non è un linguaggio immediato.

Pompei è stata saccheggiata più volte: la prima dopo l’eruzione del 79, dai suoi stessi abitanti in cerca dei loro tesori, e su indicazione di Tito (voleva recuperare i marmi). Poi giunsero i Borboni, i tombaroli, i bombardieri Usa, i turisti… E gli archeologi! A scopo conservativo non lasciano nulla nelle domus/insulae. Quanto ai pochi affreschi non asportati, e ai graffiti, il sole e la pioggia li sbiadiscono inesorabilmente.

Oplontis è altra cosa. La Villa A (l’unica visitabile) è sfarzosissima. Dedicata all’otium, era situata su una scogliera di 15m a picco sul mare ma con una serie di pianori a scendere intagliati nella roccia, per consentire agli ospiti di prendere il sole contemplando il Sinus Cumanus (o Crater), con discesa a mare e porticciolo privato. La proprietaria era forse Poppea, vera poupée de luxe del I° secolo, e seconda moglie di Nerone. Non stupisce che gli affreschi (e i colori) siano mozzafiato: la qualità è tale da rivaleggiare con i maestri del Rinascimento.

A Oplontis, che si trova nei pressi di Torre Annunziata, gli archeologi scavano dal 1964. Hanno ricomposto e riportato i frammenti degli affreschi sulle pareti (in parte ricostruite), hanno messo i tetti (riparano dalle intemperie). La “Villa A” al momento dell’eruzione era quasi vuota, per una ristrutturazione: gli archeologi si sono limitati a portare via le 15 statue che circondavano un tempo la grande piscina (61x17m): da 50 anni giacciono mestamente in un polveroso deposito. Gli affreschi però sotto il profilo estetico sono immediatamente fruibili.

Ma, nonostante la copertura dei tetti e le precauzioni, gli affreschi di Oplontis non sono più come una volta. Sono come una splendida quarantenne. I colori ancora meravigliosi stanno perdendo brillantezza. La Villa A è aperta al vento e alle intemperie; su alcuni dipinti batte il sole! All’ingresso, ai visitatori non vengono tolti zainetti e ombrelli, come avviene al MoMa di New York. I turisti si aggirano alitando sulle pitture, toccando, appoggiandosi; ogni tanto qualcuno si gira e per errore, con lo zainetto o l’ombrello, graffia la parete. Nel grande complesso (100x200m) rimangono due soli anziani guardiani.

I progressi nella gestione dei siti pompeiani, negli ultimi 12 anni, sono stati enormi. Fra l’altro, oggi stanno ri-assumendo qualcuno. Tuttavia, i problemi non hanno origini solo finanziarie, ma anche culturali. Vietare zaini e ombrelli non costerebbe nulla. Proteggere (anche solo con un telo spiovente dal portico) gli affreschi dal sole idem. Mettere delle ringhiere (brutte) o un elegante cordone, per tenere i turisti a 20cm di distanza dagli affreschi, costerebbe pochissimo. Cartelli che pregano di non avvicinarsi, idem. Non salveranno i capolavori antichi dalla prossima eruzione del Vesuvio; almeno ne rallenterebbero la scomparsa.

Quanto ai provvedimenti onerosi: se mancano i soldi per conservare, non condivido l’entusiasmo per l’imminente ripresa degli scavi alla villa B. Cari archeologi, a mio umile avviso, non solo nei siti pompeiani, urge una pausa di 5-10 anni negli scavi, per mettere in maggior sicurezza i beni archeologici esistenti o che emergono durante i lavori pubblici. Amorevolmente preservati da madre Terra per millenni, non abbiamo il diritto di distruggerli in 100 anni. Lasciamo qualcosa alle future tecniche conservative e interpretative.

Intanto, servono: (1) Nuove regole di fruizione; (2) Investire nel contrasto a tombaroli, furti, e mercato nero; (3) ) Riaprire i Musei chiusi (ad es. il Museo della Civiltà Romana a Roma); (4) Riportare nei siti di origine (le vuote case di Pompei), sotto vetro, qualche reperto originale, e: copie, fotografie, elenchi di quel che è stato trovato, per dare un senso agli ambienti. Rivisitare gli scantinati, proteggere, digitalizzare, valorizzare in modo permanente i reperti depositati. Restituiamo a Oplontis le sue statue! (5) Riconsiderare le politiche di prezzo: 5 euro per Oplontis, per i non residenti è poco; (6) Migliorare il marketing, favorire i piccoli musei: mettendoli in rete con i grandi; prevedendo visite guidate speciali e salate curate dagli archeologi che hanno scavato nella zona; (7) Seriamente, un Piano se il Vesuvio entra in fase eruttiva?!

In conclusione: vi prego, non andate a Oplontis a fare danni! Andate a Piazza Armerina, dove le visite sono calate del 40% nel ventennio pre-covid. I suoi mosaici non sono meno straordinari, ma molto meglio protetti, perciò meno fragili. Quanto a me, ho parlato di Oplontis per (non) parlare delle sfide altissime di Pompei.