Società

Lo schwa mi infastidisce: la lotta alle disuguaglianze della sinistra è solo di facciata

C’è una cosa che proprio non mi piace di questi tempi, e cioè il fatto che schwa sia preceduto da “lo”. Eh, no, cari miei, perché se schwa deve eliminare le differenze di genere, allora non possiamo, non dobbiamo farl* precedere da un articolo maschile.

Ovviamente sto scherzando, sto prendendo benevolmente (ma non poi tanto) in giro i difensori di questa che vorrebbe essere una rivoluzione della lingua italiana, volta ad azzerare le differenze di genere: maschile uguale a femminile e viceversa e quella che si definisce oggi liquidità di genere. In realtà questa operazione mi infastidisce e il fastidio trova conforto in un agile libretto di Andrea De Benedetti Così non schwa, in cui l’autore sferza questa ennesima trovata della sinistra radical-chic, o sinistra tout court (utile anche un articolo di Massimo Arcangeli su Domani). Ed è qui il punto, secondo me, in questa identificazione del progressismo o meglio, sedicente progressismo, solo nella strenua (ma apparente) difesa dei diritti. E delle metamorfosi del linguaggio in chiave buonista.

In pratica l* schwa lo vedo inserito in un quadro generale di difesa dei diritti e di parità degli esseri umani (guai a chiamarli “uomini”), tipica della “sinistra”. Ma è poi davvero così che essa opera nel concreto? La sinistra è davvero la paladina del diverso e degli ultimi? Faccio un esempio. Il recente saggio Respinti di Duccio Facchini e Luca Rondi ci narra di come in realtà in Italia da anni viga una politica di respingimento nei confronti degli immigrati sia in mare aperto, sia alle frontiere. Del resto, anche l’amico Maurizio Pagliassotti bene descrisse il tragico passaggio degli irregolari tra Italia e Francia a Claviere nel suo Ancora dodici chilometri. E questo con governi di sinistra – o anche di sinistra.

Faccio un altro esempio: l’aumento della forbice tra chi ha e chi non ha. Aumenta la disuguaglianza fra ricchi e poveri. Questo è un dato di fatto, specie dallo scalino rappresentato dall’anno 2008. Come ricorda la Caritas in questi giorni, la povertà è triplicata in quindici anni. Hanno fatto qualcosa i governi di sinistra per intervenire su questo fronte? Una patrimoniale per colpire le ricchezze dei più agiati? Oppure una dura repressione dell’evasione fiscale per redistribuire il ricavato a favore di chi non può evadere, semplicemente perché non arriva a fine mese? Anni fa svolsi un’inchiesta sull’indigenza a Torino ed emergeva chiaramente che se non ci fossero i privati, intesi come laici ma soprattutto religiosi, per i poveri sarebbero stati problemi grossi, giusto per non usare una locuzione triviale: questo a Torino, città tradizionalmente di sinistra. Del resto, chi vota a sinistra? Sempre a Torino i ricchi della collina, tra i quali quelle “madamine” cui è cara la lotta a favore dell’alta velocità ferroviaria, infischiandosene dei diritti di chi abita in Val di Susa, perché è anche vero che ci sono diritti e diritti; a Milano “il partito della Ztl” vota Pd e a Roma i pariolini.

Da questo deprimente quadro d’insieme emerge che la lotta alle disuguaglianze della sinistra è solo una lotta di facciata, non di sostanza. È la lotta dei buonisti (detti anche “politicamente corretti”), alla Walter Veltroni (oppure alla benestante Elly Schlein che adesso va per la maggiore) o alla Fabio Fazio, cui sinceramente preferisco chi mostra i denti aguzzi, e cioè la sua vera natura, che sia politico o uomo di cultura. Quel buonismo del “va tutto bene”, delle quote rosa (con cui in realtà si mortificano le donne trattandole come delle diverse), dell’ipovedente anche se è cieco, del diversamente abile anche se ha un handicap totale, dell’uomo di colore anziché del ne*ro, termine usato senza alcun intento discriminatorio (ci mancherebbe) da quel grande giornalista che fu Enzo Biagi.

È la melassa di sinistra, la falsa difesa di chi è diverso o di chi non ha. Che provino i difensori dell* schwa ad andare in Barriera di Milano o alla Falchera, provino ad andare dove non si arriva a fine mese, a predicare che il problema è la differenza di genere nella lingua italiana, e poi mi sappiano dire.