Società

Alessia Pifferi, dai diari e dagli interrogatori emerge una lucida consapevolezza

Alessia Pifferi si trova in custodia cautelare nel carcere milanese di San Vittore dallo scorso 21 luglio dopo l’arresto avvenuto in seguito alla morte di sua figlia, la piccola Diana di soli 18 mesi abbandonata sola a casa per 6 giorni e lasciata morire di stenti. Pifferi, 37 anni, un matrimonio fallito e diverse storie sentimentali finite male alle spalle, aveva lasciato la piccola da sola in un lettino da campeggio con accanto un biberon e una bottiglietta d’acqua nel suo appartamento di Milano per raggiungere il proprio compagno a Leffe in provincia di Bergamo e, dopo il fermo, aveva dichiarato ai magistrati di essere consapevole che la figlioletta sarebbe potuta morire.

Per il pm Francesco De Tommasi la madre, accusata di omicidio, è arrivata al punto di provocare la morte della propria creatura perché in essa ha sempre visto un ostacolo alla realizzazione dei propri desideri che consistevano principalmente nell’intrecciare relazioni amorose, in particolare con l’ultimo compagno che Pifferi aveva conosciuto tramite un sito di incontri e con il quale voleva intraprendere una relazione duratura. Secondo il pm Alessia Pifferi è una donna lucida e perfettamente in grado di intendere e di volere e dello stesso identico avviso sono anche gli psichiatri del carcere di San Vittore che la descrivono sempre “consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo”.

È questo il motivo per cui il gip Fabrizio Filice ha respinto la richiesta degli avvocati della difesa che chiedevano di far accedere in carcere alcuni esperti per una consulenza neuroscientifica in grado di stabilire se nel momento in cui Alessia Pifferi ha deciso di abbandonare la figlioletta condannandola ad un tragico destino fosse realmente capace di intendere e di volere. Su un eventuale infermità o seminfermità mentale mi ero già espressa in questo blog lo scorso luglio, ma ora l’ipotesi che Pifferi non fosse nel pieno delle proprie facoltà mentali quando è accaduto il fatto appare sempre più remota, non solo alla luce della deposizione resa agli inquirenti, ma anche delle memorie riportate in un diario segreto rese note dalla trasmissione Quarto Grado.

In quelle pagine Alessia Pifferi racconta della delusione per la fine della relazione con il padre naturale di Diana e delle speranze riposte nell’inizio di una storia d’amore con il nuovo compagno, l’uomo di Leffe che inizialmente, secondo la donna, le riservava gesti affettuosi e attenzioni, ma che ben presto si era rivelato ancora legato ad altre donne conosciute attraverso piattaforme on line e soprattutto insofferente alla presenza della bambina – alla quale non intendeva assolutamente fare da padre.

Pifferi racconta della propria gelosia e svela di aver tenuta nascosta la gravidanza al compagno fino al giorno in cui ha partorito la bambina nel bagno dell’abitazione dell’uomo, per poi assumere tutta una serie di comportamenti atti ad assecondare la volontà del fidanzato a discapito del benessere e della salute della piccola, che veniva spesso lasciata sola per non essere da intralcio alla loro relazione. Un progetto di vita che non includeva Diana e che deve aver condotto Pifferi a disfarsene come se fosse un fardello, un incidente di percorso che secondo lo stesso pm impediva alla donna di condurre la vita che sognava da tempo.

Uno dei particolari più inquietanti della vicenda affiora dall’interrogatorio davanti ai magistrati quando Alessia Pifferi racconta di quei giorni in cui, pur sapendo che la bambina era sola da giorni e pur essendo tornata a Milano dove aveva accompagnato il fidanzato ad un incontro di lavoro, aveva deciso consapevolmente e lucidamente di non passare da casa per accertarsi delle condizioni della piccola e di tirare dritto fino a Leffe per timore di indispettire l’uomo irritato da un recente e futile litigio. Pifferi aveva detto al proprio compagno che la bambina si trovava con sua sorella al mare e probabilmente, proprio perché consapevole di aver mentito, ha continuato a comportarsi come se nulla fosse successo.

Tasselli sempre più nitidi che compongono un puzzle intriso di orrore per un gesto in cui è impossibile vedere solo la colpa e non il dolo, l’intenzione lucida ed egoistica di liberarsi da qualsiasi ostacolo alla sua relazione, anche se l’ostacolo era rappresentato da un’innocente creatura di un anno e mezzo.