Diritti

Per combattere la violenza sulle donne bisogna partire dalla formazione accademica

Con la violenza sulle donne da anni ci troviamo a fare i conti con i progetti di Vivere con Lentezza, nelle bidonville di Jaipur, ma anche per certi versi con il lavoro nelle carceri italiane a Pavia e Piacenza, dove non raramente proviamo a ragionare con uomini maltrattanti e – da qualche tempo – abbiamo aperto l’ascolto anche sul nostro territorio in provincia di Piacenza.

Ancora una volta punto l’attenzione su una parte d’Italia che spesso sfugge alle prime pagine – il Friuli Venezia Giulia – dove si sviluppa un lavoro costante contro la violenza sulle donne, facendo rete e operando concretamente, parlandone con Lucia Beltramini, psicologa, psicoterapeuta, ricercatrice e formatrice, docente di un insegnamento su “Violenza alle donne e ai minori” presso l’Università di Trieste. È consigliera dell’Ordine degli Psicologi del Friuli Venezia Giulia e referente del Comitato Pari Opportunità, nonché componente del Comitato Pari Opportunità del Consiglio Nazionale dell’Ordine. Oltre a diverse pubblicazioni scientifiche sul tema, è autrice del volume La violenza di genere in adolescenza (Carocci, 2020).

Quello che colpisce immediatamente conversando con Lucia è l’ottimismo che riesce a trasmettere, su come a piccoli passi la situazione – nonostante le cronache drammatiche – possa mostrare segnali di cambiamento e miglioramento: “La consapevolezza sta aumentando. Fino a qualche anno fa, alcune questioni legate alla violenza erano ancora completamente negate. Ora possono essere nominate ed è possibile intervenire”.

Con lei cerchiamo di fare il punto su quella che viene definita vittimizzazione secondaria basata su stereotipi che tendono a colpevolizzare la donna – che ancora trova spazio nelle aule di Tribunale ma anche nei commissariati, negli ambulatori e sui media. Secondo il Protocollo di Napoli, a cura di Caterina Arcidiacono, Antonella Bezzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale ed Ester Ricciardelli, “le donne più colpite dalla vittimizzazione secondaria sono le donne madri (tra il 70% e 80% delle donne vittime di violenza) con figli minori, quando dopo aver denunciato violenze di coppia spesso nei tribunali vengono messe allo stesso livello dei loro carnefici in tema di competenze genitoriali. La violenza domestica comprende in sé anche la violenza assistita dai minori”.

Nonostante ciò, succede che madri protettive si vedano togliere l’affido dei figli in favore dell’ex marito/padre violento con l’accusa di non favorire abbastanza i rapporti tra questi uomini e le/i bambine/i, anche quando bambini e bambine si esprimono chiaramente nel non voler vedere il padre.

Lucia Beltramini sottolinea come grazie alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio – nonché su ogni forma di violenza di genere – ci siano oggi dei punti fermi da cui partire (vedi l’ultima relazione sulla vittimizzazione secondaria del maggio 2022). Su un punto insiste fortemente: “La formazione è necessaria, ma è tuttora insufficiente. Bisognerebbe partire fin dall’Università: sono ancora pochi i corsi universitari dedicati al tema della violenza contro donne e minori, mentre la loro presenza sarebbe importante in moltissimi corsi di laurea da medicina a psicologia, da infermieristica a giurisprudenza, da ostetricia a servizio sociale, solo per citarne alcuni”.

Se i Tribunali si stanno attrezzando per quanto concerne i magistrati ad acquisire competenze in merito, esiste ancora uno snodo che rischia di vanificare questi sforzi. La – da più parti segnalata – insufficiente preparazione dei Consulenti tecnici del Tribunale (Ctu) come risulta anche da una ricerca empirica (2021), coordinata da Mariachiara Feresin dell’Università di Trieste e pubblicata dalla rivista online Sistema Penale, sulla valutazione delle competenze genitoriali da parte dei Ctu in situazioni di violenza domestica. Dallo studio emerge che i requisiti per svolgere il ruolo di Ctu risultano generici e diversi da tribunale a tribunale. Alcuni Ctu hanno frequentato corsi di specializzazione con durate diverse ma senza un percorso accademico specifico; altri hanno frequentato master in criminologia e psicologia giuridica; altri ancora hanno sviluppato le loro competenze sulla base di esperienze acquisite negli anni o “on the road”, come specifica qualcuno.

Non è richiesta una formazione specifica sulla protezione dei minori e la violenza domestica per diventare un Ctu o per effettuare la valutazione delle competenze dei genitori. Un nodo critico e delicato. Continueremo a parlarne come suggerisce il Presidente Vicario del Tribunale di Milano Fabio Roia – in ogni luogo e ad ogni occasione – persino al bar quando qualcuno fa un’osservazione pesante su di una donna, cercando di mettere in luce le buone pratiche esistenti e ricordando sempre l’importante lavoro di rete che i centri antiviolenza svolgono sul territorio in collaborazione con istituzioni e professioniste/i.