Nessun regolamento di conti o esecuzione di un certo codice d'onore in carcere. Il coma se l'è procurato da solo, per "il senso di colpa" provato dopo aver visto un servizio al telegiornale in cui veniva dipinto come un mostro
“Ho fatto tutto da solo per punirmi”: Alexandru Ianosi ha allontanato l’idea che quel manico di scopa conficcato nell’orbita del suo occhio fosse un regolamento di conti. Nessun codice d’onore interno al carcere che punisce i detenuti accusati di violenze sulle donne e sui bambini. Il coma se lo è procurato da solo, nella sua cella. Ha raccontato di aver visto un servizio al telegiornale che parlava di lui, descrivendolo come un mostro. Si voleva punire per aver ucciso a coltellate la sua compagna Lilia Patranjel, la notte tra il 22 e il 23 settembre, nel salotto del loro appartamento di via Mantegna a Spinea, Venezia. Un omicidio per il quale Ianosi, 35enne romeno, si era subito confessato colpevole in una telefonata ai carabinieri: “Venitemi a prendere, ho ucciso la mia compagna”.
Il suo occhio non ha subito danni irreversibili. Giovedì 6 ottobre, tornando in carcere dopo i ricoveri all’ospedale dell’Angelo di Mestre e al Civile di Venezia, ha dichiarato di sentirsi “devastato dai sensi di colpa“, come riportato da Il Gazzettino. Ha visto il servizio al telegiornale, ha trovato un manico di scopa nel bagno della cella e ha deciso di infliggersi del male per quello che aveva fatto alla donna con cui conviveva e con la quale aveva avuto anche un figlio. La versione dell’uomo è stata considerata credibile. Ora Ianosi è in una cella con altri detenuti e varrà fatto partecipare a un programma di socializzazione interna al penitenziario di Venezia. Qui è stato attivato il protocollo anti–lesionismo sull’intera popolazione carceraria che scatta ogni volta in cui un detenuto si ferisce.
Dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del gip durante l’udienza di convalida dell’arresto, il 35enne non ha più parlato con il pm che lo accusa di omicidio volontario aggravato dal legame della convivenza. La difesa punterà a chiedere una perizia psichiatrica in modo da poter dimostrare come, la sera tra il 22 e il 23 settembre, Ianosi non fosse in lui mentre sferrava decine di coltellate verso la donna.
La sera in cui Lilia Patranjel aveva deciso di lasciare il suo compagno, stanca delle violenze che lei aveva denunciato, salvo poi ritirare la querela e bloccare l’iter giudiziario. L’uomo aveva reagito con violenza scagliandosi contro di lei con un coltello da cucina, nel salotto della loro casa, dove Lilia è stata uccisa attorno a mezzanotte. Due i colpi mortali, tra il torace e il ventre. Altre ferite sono state riscontrate sulle braccia e sulle mani, segno del suo ultimo tentativo di difendersi.