Musica

‘Andare oltre’, la musica di Niccolò Fabi è una Macondo necessaria

Una volta ho sentito Luca Barbarossa dire che Niccolò Fabi è un cantautore necessario. Leggiamo dalla Treccani. “Necessario: che è per necessità, che non può essere altrimenti da com’è”. O anche: “di cose, fatti o persone senza le quali non possono o non potrebbero verificarsi determinate condizioni (che possono essere espresse o sottintese), secondo un rapporto di causa ed effetto”. Ci sembrano definizioni calzanti entrambe nel caso di Fabi, che non potrebbe essere diverso da com’è e, nello stesso tempo, senza il quale al mondo del cantautorato italiano mancherebbero alcune precise parole per esprimersi.

Ci viene in mente – e forse non è un caso – uno degli incipit più famosi della letteratura mondiale: “Macondo era un villaggio di venti case di argilla e canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicare col dito”. Forse non è un caso perché il microcosmo che si fa destino collettivo, che (quasi) solo Gabriel García Márquez è stato in grado di raccontare in Cent’anni di solitudine, è la cassa di risonanza attraverso la quale saper “Andare oltre”, come il brano uscito oggi del “cantautorefabi”. Un “mattoncino sentimentale di un certo peso”, lo aveva annunciato lo stesso artista romano, e in effetti non si può dire che si tratti di un pezzo rock (ma il contrario ci avrebbe fatto deragliare).

Accompagnato dall’Orchestra Notturna Clandestina del Maestro Enrico Melozzi, che sarà con Fabi anche sul palco dell’Arena di Verona il prossimo 2 ottobre (una serata-evento per i 25 anni di carriera), il brano è il racconto di un amore finito e di un amore nuovo (o forse solo di una “stella cadente”), di un cammino che riprende e di un perdono che ci attende. Della vita che rinasce, con i suoi fantasmi e i suoi confronti.

L’amor che move il sole e l’altre stelle, insomma, da che l’umanità ha iniziato a scrivere, e anzi prima a cantare. Ma la forza di Fabi è quella di riuscire a mostrare le gesta del singolo – a partire proprio da se stesso, dalle sue esperienze e dal suo dolore – che poi diventano capacità catartica collettiva. Come se, attraverso un caleidoscopio, quella sua Macondo di sentimenti ed emozioni diventasse una sorta di planetario in cui guardare noi stessi e i nostri simili. Sempre inquieti, spesso tormentati, eppure in pace, avendo accettato – ciascuno per sé – la propria “condanna ad andare oltre”. Oltre un lutto, oltre un amore, oltre un sogno infranto, ma con il costante tentativo di “far assomigliare la propria vita ai desideri”. E da qui la vita che ricomincia, come si ricomincia “a uscire la sera, a comprarsi i vestiti, ai rituali dei corteggiamenti” e a quel “sonno leggero con un estraneo al nostro fianco”. Piccoli gesti, quasi respiri come la voce sussurrata che accompagna le note, nei quali tutti ci ritroviamo. Una quotidianità singola che si fa esperienza collettiva. Come accade, regolarmente, nei concerti di Fabi, dove per la prima metà del tempo il pubblico piange e per l’altra metà ride.

Sempre da Treccani, “Catarsi: sia il rito magico della purificazione, inteso a mondare il corpo contaminato, sia la liberazione dell’anima dall’irrazionale. In particolare, secondo Aristotele, la purificazione dalle passioni, indotta negli spettatori dalla tragedia”. Al contrario dei greci, però, le passioni vogliamo tenercele strette. E “andare oltre” perché, come scriveva Gabo, “nella vita non c’è luogo più triste di un letto vuoto” .