Politica

Che fine ha fatto la sinistra in Italia? Una crisi tra ideologia e opinione

Esiste in Italia una sinistra? In apparenza sui social c’è una grande domanda di sinistra e i partiti a sinistra del Pd proliferano; ma non c’è incontro tra domanda e offerta perché i partiti a sinistra del Pd raccolgono pochissimi voti. Che fine hanno fatto gli elettori del Pci che da oltre il 30% ai tempi di Berlinguer erano calati al 26% nelle elezioni politiche del 1987, al 22% (sommando Pds e Rc) in quelle del 1992 e oggi faticano a raggiungere la soglia del 3%? Dove sono andati a finire quelli che votavano i socialisti di Pietro Nenni e Sandro Pertini? E dove si situa il M5s, col suo ormai scarso 10%, nel continuum destra-sinistra?

Io credo che la crisi abbia almeno due ragioni: una ideologica e una che possiamo chiamare di opinione, per intendere il modo in cui il pubblico comprende, interpreta e semplifica l’ideologia o la propaganda dei partiti. Sulla crisi ideologica della sinistra ho già scritto altre volte: l’ideologia comunista è caduta nel 1989-1991 e non è stata sostituita, o meglio è stata sostituita pragmaticamente, accettando come necessaria la coesistenza dell’imprenditoria pubblica e privata, senza però ammetterlo. Soprattutto, non è stato ridimensionato esplicitamente il concetto di lotta di classe: se l’imprenditore privato è necessario alla società moderna, diventa la controparte con cui negoziare, non più il nemico da abbattere o da punire. La crisi di opinione è più sfuggente.

Come ha scritto Luca Sofri qualche anno fa: “Le persone che hanno pensieri progressisti, riformisti, non razzisti, democratici, (…) sono e sono sempre state una quota esigua degli elettori dei partiti ‘di sinistra’. I milioni e milioni di persone che li hanno votati sono sempre state in gran parte persone che avevano un desiderio di cambiamento e di miglioramento delle proprie condizioni, per le quali persone i partiti di sinistra sono stati convincenti nel rappresentare questo desiderio.” Se sulla scena politica si affaccia un partito che promette di più, una buona quota del vecchio elettorato di sinistra lo voterà, per convenienza (o per speranza che gli convenga). Si verifica allora una crisi tra ideologia e opinione, perché l’elettore che continua a ritenersi “di sinistra” si sente meglio rappresentato da partiti ideologicamente lontani dalla sinistra, che ai suoi occhi sembrano proseguire, a suo vantaggio, la lotta di classe.

Un punto fermo e non rinunciabile dell’ideologia di sinistra è quello dei rapporti tra economia, lavoro e politica; l’inno dei lavoratori di Filippo Turati parlava di riscatto del lavoro e la nostra Costituzione, scritta all’indomani della caduta del Fascismo e con un grande contributo della componente comunista e socialista, dichiara l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro.

Marx, riprendendo idee di Smith e Ricardo, sosteneva che il valore di una merce è dato dal lavoro necessario per produrla. Che il lavoratore presti la sua opera per un datore di lavoro pubblico o privato non cambia questo nocciolo duro del pensiero “di sinistra”. Salario minimo, contrattazione sindacale, diritti dei lavoratori sono concetti conseguenti alla più ferma tradizione della sinistra, secondo la quale la dignità viene dal lavoro, di cui il reddito è una, ma non la sola, conseguenza.

La miserabile ideologia di Beppe Grillo: “è il reddito che ti include nella società, non il lavoro” non ha nulla a che vedere con la sinistra, ma a molti elettori può apparire più conveniente. Il povero Giuseppe Conte cerca di presentare la linea di Beppe Grillo come “di sinistra”; ma se ci riesce è perché nessuno capisce più cosa significa “essere di sinistra”. Matteo Renzi ha cercato di svecchiare la sinistra ma essendo ideologicamente un incapace è finito a destra e oggi flirta con gli ex-Berlusconiani: ha inseguito il consenso anziché costruire qualcosa su cui la gente potesse seguire lui e ha fallito.

Se superare la crisi ideologica è difficile, superare la crisi di opinione è ancora più difficile, perché l’opinione non ha centralizzazione ma, soprattutto nell’era del web, è capillarmente prodotta e diffusa da ciascun cittadino per se stesso. Una riformulazione esplicita dell’ideologia della sinistra è oggi necessaria e deve tenere conto delle aspettative degli elettori, o almeno prevedere e moderare il contrasto con quelle di cui non si può tenere conto: non si può da sinistra inseguire il “prima gli italiani” di Salvini, ma si deve fornire agli elettori una ragione del perché no, sottolineando che l’internazionalismo conviene a tutti, che un paese capace di accogliere crea al suo interno le condizioni per cui i suoi cittadini non avranno a loro volta bisogno di essere accolti, e che “ciascuno” significa anche “ciascun altro”.

Allo stesso modo non si può ricevere senza dare, non foss’altro perché ciò che qualcuno riceve qualcun altro lo ha dato. E’ utile per tutti che esistano sussidi e servizi pubblici, ma perché possano esistere è necessario che ogni cittadino che può farlo contribuisca a produrre le risorse necessarie col suo lavoro e con le sue tasse; e diceva una cosa di sinistra Tommaso Padoa Schioppa quando sosteneva che le tasse sono “bellissime”. Vallo a spiegare alla gente che si ritiene di sinistra.