Cultura

Pakistan dreaming, grazie a Marco Rizzini per svelare realtà a noi ignote

Dall’11 settembre 2001 il Pakistan non gode di buona stampa nel mondo: di fatto è tagliato fuori dai circuiti del turismo mondiale. Non però per Marco Rizzini, viaggiatore indefesso e osservatore acuto di culture lontane. Pakistan Dreaming, un volume denso, corredato da splendide fotografie, è l’ultima sua fatica (sottotitolo Un’avventura da Islamabad alle montagne del Karakorum, Ediciclo Editore, Portogruaro 2022). Rizzini racconta i giorni trascorsi in questa terra assieme a Federica, sua compagna di vita e di avventure, alla ricerca del vero Pakistan, non quello raccontato dai nostri media.

Del Pakistan, in realtà, noi persone comuni sappiamo pochissimo: ne conosciamo suppergiù la fisionomia geografica, nutriamo vaghe idee sulla sua storia, quasi ne ignoriamo la cultura, gli usi, i costumi. Rizzini ha l’occhio lucido, attento, critico, ma dalla sua prosa affiorano slanci sentimentali che commuovono. Ci descrive la natura, le città, le persone. A poco a poco ci addentriamo in Lahore, Islamabad, Peshawar, nomi perlopiù orecchiati alla tv o letti sui giornali. E invece, guidati dall’autore, apprezziamo l’architettura, le splendide moschee – la Moschea Rossa fu il quadro di scontri sanguinosi fra fondamentalisti e militari, difensori quest’ultimi dello stato laico –, i silenzi infiniti di certi quartieri, le musiche altisonanti delle feste laiche o religiose. Man mano che ci inoltriamo nei 21 capitoli siamo conquistati dagli aspetti di una natura forte, a tratti selvaggia: la fauna con gli orsi e le scimmie, le valli verdissime, la distesa impressionante del parco nazionale denominato Fairy Meadows, da dove si erge quel gran gigante che è il Nanga Parbat: 8000 metri, “imponente, indomabile, che incute rispetto con il suo silenzio”, effigie del “predominio della natura sull’uomo”.

Rizzini racconta la vita delle comunità, parla delle donne, costrette quasi sempre nel burqa, illustra il modo di vivere, cucinare, pensare, amare. E confessa i sentimenti suoi e di Federica: entusiasmo intenso per un’esperienza inusitata, per i rapporti instaurati con molti abitanti, ma anche, talvolta, la preoccupazione di non essere ben accetti in certi ambienti, in quanto occidentali e “infedeli”. La repubblica islamica, fondata nel 1947, è profondamente religiosa, la religione impregna tutta la vita del Paese: Rizzini, con grande rispetto, ci mostra le manifestazioni della devozione nel vivere quotidiano, nella sfera personale e sociale. Riporta anche i colloqui intessuti con alcuni abitanti sugli aspetti politici di un Paese che possiede l’atomica ma che ha visto crescere il terrorismo ed è stato per anni il rifugio di Osama bin Laden. E poi ci riferisce l’addio, la fine del viaggio, la malinconia della partenza, dell’“ultimo taxi”, la gioia di aver toccato con mano cose che non tutti vedremo. Letto questo diario, anche i fruttivendoli pakistani sotto casa avranno per noi un altro volto. Questa è dopotutto la forza dei buoni libri: svelare realtà a noi ignote. Grazie, Marco Rizzini.

A margine di Pakistan Dreaming do una notizia che riguarda più da vicino la mia materia, la musica. Il Pakistan ha conosciuto una straordinaria tradizione musicale millenaria, oggi affievolitasi. Si è interrotto il rapporto consolidato fra maestri e allievi, i giovani non coltivano più lo studio di saperi e tecniche ancestrali, trasmesse per via orale; assillati da una povertà galoppante, cercano il miraggio del benessere nella musica dei media occidentali. Affinché le tradizioni d’arte pakistane non vadano perdute e i musicisti possano continuare a trovar lavoro, è sorto un progetto, “Heritage Live”, promosso da un colto uomo d’affari, Qazi Asmat Isa. Sono state coinvolte alcune ambasciate europee: l’Italia ha avuto una parte importante, accanto ad Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Romania. Dal gennaio 2022 ognuna di queste nazioni ha selezionato propri musicisti e li ha inviati in Pakistan, affinché si confrontassero con i colleghi convocati da tutto il Paese. L’intento è di realizzare concerti finali e raccogliere materiale da diffondere a livello internazionale.

Per l’Italia, il responsabile prescelto è stato un musicologo assai noto, il professor Dinko Fabris, presidente emerito della International Musicological Society (Ims). Dopo due anni di fermo causa pandemia, il viaggio si è concretato nel maggio scorso. Già quand’era presidente della Ims, Fabris si era prodigato a sostegno di paesi in cui musicisti e musicologi versano in difficoltà, grazie al progetto “Musicologists without Borders”: ora ha coinvolto Fabrizio Festa, compositore e docente di Musica elettronica al Conservatorio di Matera, e Rosalia Stellacci, insegnante di yoga ed esperta cantante. Il resoconto di quest’impresa intellettuale, raccontata dallo stesso Fabris in quattro capitoli, si legge nel Cirano Post. Insomma, diciamo di cuore: Pakistan zindabad! (lunga vita al Pakistan).