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Regionali Andalusia, trionfano i popolari: con la maggioranza assoluta governeranno da soli. “Ora Sánchez via dal governo quanto prima”

Per la prima volta i popolari conquistano la maggioranza assoluta nella comunità autonoma più popolosa della Spagna, storico bastione dei socialisti. Juan Manuel Moreno Bonilla, già presidente dal 2019 e candidato alla rielezione per i popolari, ha compiuto un miracolo. In soli quattro anni ha portato il partito da uno dei peggiori risultati della sua storia nella regione (con soli 26 seggi nel 2018), alla riconferma con il 43% dei voti, che gli danno diritto a 58 seggi

Il Partito popolare ha fatto la storia in Andalusia. Per la prima volta la formazione di centrodestra ha raggiunto la maggioranza assoluta nella comunità autonoma più popolosa della Spagna, storico bastione dei socialisti. Juan Manuel Moreno Bonilla, già presidente dal 2019 e candidato alla rielezione per i popolari, ha compiuto un miracolo. In soli quattro anni ha portato il partito da uno dei peggiori risultati della sua storia nella regione (con soli 26 seggi nel 2018), alla riconferma con il 43% dei voti, che gli danno diritto a 58 seggi (la maggioranza assoluta è fissata a 55). Oltre ad aver assorbito interamente l’elettorato dei liberali di Ciudadanos, che sono scomparsi – perdendo tutti i 21 seggi ottenuti nelle scorse elezioni e restando fuori dal parlamento regionale – Moreno è riuscito a limitare l’avanzata di Vox. Il partito di estrema destra ha migliorato i suoi risultati ottenendo due seggi in più (14), ma i numeri del Pp non gli lasciano alcuno spazio nel governo. I socialisti, il cui obiettivo era mobilitare l’elettorato, mantenere e migliorare i risultati del 2018, non sono riusciti nell’intento: da 33 deputati sono scesi a 30. A sinistra del Psoe, Adelante Andalucía e Por Andalucía sono rimaste vittime della frammentazione, ottenendo rispettivamente due e cinque seggi: nel 2018, quando si presentarono sotto un unico simbolo, ne ottennero 17.

Dopo una notte elettorale euforica, Moreno Bonilla è tornato al lavoro. Questo lunedì, in un’intervista alla tv Cadena Ser, ha affermato che era convinto che non avrebbe avuto bisogno di Vox per governare, ma ha chiarito che prende i risultati di queste elezioni con umiltà. “Non approveremo nessun progetto o iniziativa che non sia stata concordata prima con la società e con il settore di riferimento”, ha promesso. Il popolare ha riconosciuto che parte dei consensi che lo hanno portato alla maggioranza assoluta sono stati “prestati”, riferendosi a un travaso di voti dell’elettorato socialista al Pp. E ha citato una serie di municipi in cui il Pp non aveva mai vinto: tra questi Siviglia, la capitale dell’Andalusia, bastione del Psoe dal 1977. Questa domenica, per la prima volta, la mappa della Comunità autonoma si è colorata di azzurro: i popolari hanno vinto in tutto il territorio e nelle otto province. Nel 2018, l’unica che governavano era Almería.

I riflessi nazionali – Sebbene il leader del partito, Alberto Nuñez Feijóo, abbia sottolineato più volte che i risultati delle elezioni andaluse non dovevano essere letti in chiave nazionale, il coordinatore generale Elías Bedondo durante la conferenza stampa di questo lunedì ha affermato il contrario. “Ieri il Pp ha mosso un passo decisivo per far sì che Pedro Sánchez (il premier socialista spagnolo, ndr) se ne vada dalla Moncloa. Quando? Quanto prima”, ha affermato. E ha aggiunto: “Se il Pp in Andalusia è capace di raggiungere la maggioranza assoluta, il Pp in Spagna non ha limite”. Questa dichiarazione ha irritato il governo centrale, che considera “irrispettoso” pensare che questi risultati siano una risposta alla gestione dell’esecutivo nazionale. Nonostante l’insistenza del governo però, i dati non sono favorevoli per i socialisti: l’Andalusia è la comunità più popolosa, con otto milioni e mezzo di abitanti, seguita dalla Catalogna e dalla Comunità di Madrid. In due delle tre regioni che distribuiscono più seggi governa il Pp, con un netto distacco rispetto al Psoe.

La sparizione di Ciudadanos – Il maggior sconfitto di queste elezioni è Juan Marín, vicepresidente uscente della Giunta e candidato governatore di Ciudadanos. I sondaggi in questi giorni non avevano escluso che potesse rimanere fuori dal parlamento, ma il partito si aspettava di ottenere almeno uno o due seggi. Così non è stato. La formazione, che nel 2018 aveva ottenuto 21 deputati con il 18,27% dei voti, è crollata al 3,29% e ha perso rappresentanza nel parlamento della comunità. Mentre arrivavano i dati definitivi degli scrutini, Marín ha annunciato le dimissioni e l’abbandono della vita politica, lasciando in lacrime la conferenza stampa. Ad accompagnare il candidato di Ciudadanos c’erano diversi membri del partito, tra cui il capogruppo al Congresso (la Camera spagnola), Edmundo Bal. La grande assente è stata però la leader, Inés Arrimadas, che ha seguito lo spoglio da Madrid. La sua reazione è arrivata ore dopo con un semplice tweet: “Grazie a Juan Marín e ai compagni di Ciudadanos in Andalusia per il loro sforzo e il loro lavoro nella Giunta e in questa campagna. E grazie ai 120.000 andalusi che continuano a credere nel progetto liberale che dobbiamo rilanciare tra tutti”.

Sebbene parte di Ciudadanos non voglia riconoscere questa sconfitta come conseguenza della sua crisi a livello nazionale, però gli opinionisti non hanno dubbi: si tratta dell’inizio della fine del partito liberale. Andrés Benítez Espinosa, politologo e ricercatore della Uned (Universidad nacional de educación a distancia), spiega a ilfattoquotidiano.it che “quello a cui assistiamo è il risultato di una serie di decisioni sbagliate che ha preso il partito. Ed elezione dopo elezione perdono consensi”. El País stima che ci siano circa tremila tra consiglieri e assessori locali di Ciudadanos, oltre ai nove deputati nel Congresso nazionale. Tuttavia, negli ultimi appuntamenti elettorali, il partito ha collezionato una serie di sconfitte: in Castiglia e León ha ottenuto un solo seggio, quello dell’ex vicepresidente Francisco Igea, mentre nella comunità di Madrid e in Andalusia è scomparso dal parlamento regionale. “Temo che alle elezioni amministrative del 2023 si firmerà il certificato di morte di Ciudadanos”, afferma il politologo.

Vox migliora ma non entra al governo – Quando Vox ha presentato la propria candidata, Macarena Olona, pensava di poter arrivare al governo della regione, replicando il risultato ottenuto alle elezioni in Castiglia e León lo scorso marzo, quando il partito di estrema destra è entrato in giunta con i popolari. Olona, infatti, sperava di diventare la nuova vicepresidente dell’Andalusia, obiettivo con il quale ha abbandonato il suo incarico di capogruppo al Congresso. Tuttavia, il progetto di Vox è fallito e la candidata dovrà accontentarsi della “retrocessione” al ruolo di capogruppo al parlamento regionale. Sebbene il partito sia passato dai 12 seggi del 2018 ai 14 attuali, infatti, non ha potuto competere con i numeri raggiunti dai popolari, che governeranno senza bisogno di accordi. Peraltro, se si guarda ai risultati raggiunti dalla formazione in Andalusia nelle elezioni generali del 2019, il partito di Santiago Abascal aveva ottenuto il 20,6% dei consensi, ben oltre il 13,46% attuale. Dopo aver riconosciuto che si aspettavano un risultato migliore, Abascal non ha perso occasione per attaccare il Psoe, definendo questa tornata elettorale una “sconfitta storica del socialismo e della sinistra”. Inoltre ha lanciato un avvertimento a Moreno Bonilla, assicurando che governerà “sotto la vigilanza di Vox”.

La crisi del PSOE – L’Andalusia è sempre stata un bastione dei socialisti, almeno fino al 2019, quando un accordo di governo tra Pp e Ciudadanos con l’appogio esterno di Vox permise a Moreno Bonilla di diventare il primo governatore di centrodestra della storia della regione. Tuttavia, anche in quell’occasione, il Psoe era stato il partito più votato con 33 seggi. Oggi i socialisti ne perdono tre e vengono sostituiti dal Pp, che diventa la forza egemone nella comunità. El País ricorda che nel 2004 e nel 2008 i socialisti superarono i due milioni di voti: in queste elezioni ne ha ottenuti meno di un milione (883.707). “Da domani sono il capo dell’opposizione”, ha detto dopo lo spoglio il socialista Juan Espadas, il candidato governatore voluto da Sánchez. Per ora però, né lui né il partito hanno fatto autocritica, ma hanno scelto di attribuitre la sconfitta all’astensionismo. “Il nostro obiettivo non era altro che la mobilitazione dell’elettorato. Questo non è successo e pertanto non siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo. Senza dubbio, quando la partecipazione è bassa la sinistra è quella che soffre”. Secondo i dati della Giunta di Andalusia, solo il 58,36% degli elettori ha votato questa domenica, una percentuale che supera di poco l’affluenza delle elezioni del 2018, quando il 56,56% degli aventi diritto si è recato alle urne.

La frammentazione della sinistra – Oltre alla sconfitta del PSOE, anche Por Andalucía (che ingloba Podemos, Izquierda Unida e Más País) e Adelante Andalucía non hanno raggiunto i risultati sperati. La prima formazione, guidata da Inmaculada Nieto e sostenuta dalla vicepresidente del governo, Yolanda Díaz (Podemos), ha ottenuto cinque seggi; la seconda, con Teresa Rodríguez come candidata, si è fermata a due. Questi partiti hanno pagato il prezzo della frammentazione: nel 2018 infatti, quando concorsero uniti sotto la sigla di Adelante Andalucía, raggiunsero 17 deputati. Nieto ha riconosciuto che il risultato ottenuto “non è buono” ma ha affermato che sia l’anticipazione delle elezioni, sia la recente fondazione del partito (aprile 2022) non hanno giocato a suo favore. Durante una conferenza stampa ha inoltre attaccato indirettamente Teresa Rodríguez: “La forza politica che non ha aderito [alla coalizione] assisterà al fallimento elettorale che provoca la divisione”, ha detto. Non sono mancate nemmeno le critiche di Rodríguez, convinta che parte della sinistra dovrebbe farsi un esame di coscienza: “Si sono impegnati di più a lasciarci fuori senza risorse che ad affrontare la destra e l’estrema destra. Chi oggi parla della divisione della sinistra doveva pensarci prima. Avremmo dovuto preservare quello spazio plurale, ma per alcuni la priorità è stata cercare il nemico interno”, ha detto.