Diritti

Vicenza, Zlatan Vasiljevic e l’inutile riabilitazione: non si smette di essere violenti in pochi mesi

Cronache di morti annunciate. Questo sono buona parte dei femminicidi che avvengono in Italia. Così è stato il femminicidio di Lidia Miljkovic, assassinata due giorni fa, a Vicenza, da Zlatan Vasiljevic dopo anni di violenze e minacce gravissime (per farvi un idea, leggete qui). Un calvario cominciato nel 2011. Quest’uomo prima di suicidarsi ha lanciato due granate contro automobilisti di passaggio ed ha assassinato anche l’attuale compagna Gabriella Serrano. L’odio per le donne consumato in una furia omicida includeva anche lei, testimone diretta del femminicidio di Lidia Miljkovic avvenuto poche ore prima.

Zlatan Vasiljevic era stato arrestato nel 2019 eppoi era stato raggiunto da un ordine di allontanamento. Il Gip nel motivare l’arresto ne aveva evidenziato la pericolosità: “La perseveranza dimostrata dal Vasiljevic, unitamente all’abuso di alcol e alla sua incapacità o comunque alla mancanza di volontà di controllarsi pure in presenza dei figli minori, costretti ad assistere alle continue vessazioni ai danni della madre, consente di ritenere altamente verosimile il verificarsi di nuovi episodi di violenza” e aveva concluso che: “Le tendenze prevaricatorie di quest’uomo potrebbero con ogni probabilità subire un escalation in termini di gravità e condurre a tragiche conseguenze” . Così è stato.

L’intervento penale c’è stato ma non era sufficiente. Il tribunale civile e il servizio sociale di Vicenza si sono mossi in direzione contraria per un riavvicinamento di quest’uomo ai figli che avevano assistito a violenze. Lo denuncia in un’intervista carica di rabbia e indignazione Daniel Mondello, l’attuale compagno di Lidja che oggi invita i giudici e le assistenti sociali ad andare al funerale e a “guardare bene la sua bara”.

Mondello ha raccontato che il Tribunale di Vicenza avesse stabilito l’affido condiviso dei due figli di 13 e 16 anni, oggi orfani, revocando l’affidamento esclusivo che era stato dato inizialmente alla madre: “Il giudice aveva appena stabilito che quest’uomo aveva il diritto di vedere i suoi figli, e quindi che per ogni cosa bisognava mediare col padre, scuola, tempo libero medicine. Nonostante quest’uomo oltre ad essere un violento non avesse mai pagato gli alimenti per i bambini. Nel frattempo continuava a perseguitarla, sapevano tutti cosa sarebbe successo, ma continuavano a dire che era in un percorso di riabilitazione. L’unico problema per tutti, era riavvicinare i figli al padre anche se lui nemmeno li voleva. Hanno messo i discussione che Lidja fosse una buona mamma e che io potessi metterli in pericolo con la mia presenza. Il giudice aveva addebitato anche a Lidja 15mila euro di spese processuali che Zlatan non pagava”. L’ultima beffa dello Stato italiano nei confronti di una donna che già viveva nella paura.

Prima di essere uccisa, Lidja aveva dovuto intraprendere un percorso ad ostacoli per le donne che denunciano violenze soprattutto se sono madri. La violenza scompare, viene ridimensionata a conflitto, la genitorialità delle vittime viene messa sullo stesso identico piano di quella dei violenti e madri che hanno paura dopo aver subito anni di violenze, sono stigmatizzate e mal giudicate se chiedono l’affido esclusivo. Tutto questo avviene in nome di un concetto astratto della bigenitorialità e della sua applicazione ottusa e scellerata. Una disfunzione del sistema che avviene su basi puramente ideologiche, quella del ripristino dell’autorità paterna malcelato da una ipocrita ricomposizione dell’unità famigliare, da Mulino Bianco. Ad ogni costo. Tanto lo pagano le donne e i figli lasciati in ostaggio ai violenti.

Con l’uomo che le aveva fracassato la testa e le aveva messo un coltello in bocca, Lidja avrebbe dovuto relazionarsi. E’ umano tutto questo? E degno di un Paese civile?

Zlatan aveva anche usufruito di vantaggi per aver ricevuto l’attestato di partecipazione di un percorso per maltrattanti. Sorti con buone intenzioni per un’assunzione di responsabilità della violenza maschile, questi luoghi rischiano di diventare funzionali alla vittimizzazione delle donne. Panacea di tutti i mali, sigillo di un recupero che molte volte è solo immaginario.

Un violento in pochi mesi o persino poche settimane può ottenere relazioni positive sul superamento dei comportamenti violenti e ottenere persino relazioni sulla proprio adeguatezza genitoriale. Non tutti i luoghi che offrono recupero rilasciano relazioni positive ma ai giudici può bastare, per farsi un giudizio positivo, anche solo la dichiarazione che il maltrattante sta seguendo un percorso. L’attestato di partecipazione, il diplomino che attesta quest’uomo è un ex violento. Ora è bravo ed è buono.

Quanti uomini intraprendono questi percorsi in maniera genuina e quanti con fini strumentali? La valutazione del rischio deve prescindere dalla frequentazione di questi percorsi che devono essere una scelta personale senza alcun peso riguardo alla decisione sull’affidamento dei figli o l’attenuazione di misure cautelari. I giudici dovrebbero fondare le loro decisioni dopo aver fatto una adeguata valutazione del rischio e ascoltare la paura delle donne e dei loro figli invece di basarsi su una ipotesi di cambiamento che qualora fosse reale e genuino richiederebbe anni di elaborazione.

Questa vicenda è purtroppo il perfetto e tragico esempio di ciò che la Rete D.i.Re, che ha commentato questo duplice femminicidio, denuncia da tempo e che si chiama vittimizzazione istituzionale. Nel report Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per minorenni, presentato nel giugno del 2021 sono state rilevate le disfunzioni del sistema giudiziario: “Ancora più grave la situazione quando si guarda alle decisioni in merito ai/lle minori che possono aver assistito alla violenza o aver subito violenza essi stessi: dall’indagine emerge chiaramente che “ancora oggi per i Tribunali l’obiettivo principale è salvaguardare e conservare ‘il rapporto con la prole’, ovvero il legame genitore-figlio/a, indipendentemente dalla presenza di condotte violente nei confronti della madre. La convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere un buon genitore.

Una stortura che è stata denunciata anche dai report della Commissione Femminicidio presieduta da Valeria Valente e dal rapporto Grevio che monitora la corretta applicazione della Convenzione di Istanbul.

Lo ripetiamo da anni. Ma la vita delle donne ha valore in questo Paese?

@nadiesdaa