Cronaca

Vicenza, fecero il saluto romano per ricordare l’eccidio di Schio: 17 assolti. Anpi: “Si rifanno al fascismo, cosa serve per una condanna?”

Nel luglio del 2019 avevano fatto il saluto romano al grido di presente. Diciassette persone legate all'estrema destra sono finite a processo per aver violato la legge Mancino. Ma la giudice li ha assolti: "Il fatto non sussiste"

Fare il saluto romano in pubblico non è reato. Il Tribunale di Vicenza ha assolto le 17 persone accusate di aver violato la legge Mancino (inizialmente era contestata la legge Scelba del 1952 contro l’apologia) durante una manifestazione avvenuta a luglio 2019 per ricordare le vittime dell’eccidio di Schio. Secondo il collegio presieduto da Camilla Amedoro, i protagonisti, pur ripresi mentre facevano il saluto romano, sono innocenti perché il fatto non sussiste. L’Anpi, che era parte civile e aveva sostenuto la colpevolezza si domanda “cosa devono fare coloro che si richiamano al fascismo, con parole, atteggiamenti e comportamenti chiaramente indicativi di una volontà di ritorno a un passato nefasto e tragico, per essere condannati?”. I difensori degli imputati hanno sostenuto che il saluto romano senza intervento del pubblico non fa proselitismo al disciolto partito fascista e pertanto non è un reato.
A processo erano finiti alcuni membri dell’estrema destra locale che, secondo il pubblico ministero Maria Elena Pinna, avevano violato la legge del 1993 che punisce “chiunque in pubbliche riunioni compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” che inneggiano alla discriminazione razziale. La Digos della Questura li aveva ripresi mentre, dopo aver alzato la mano destra nel saluto romano, gridavano “presente”.
Un manipolo di simpatizzanti di estrema destra proveniente dal Veneto e dalle regioni limitrofe si era radunato di fronte alle vecchie carceri cittadine per ricordare l’eccidio di Schio su iniziativa di Continuità ideale (restauratori della RSI) e con la partecipazione di Veneto Fronte Skinheads. Tra 6 e 7 luglio 1945 un gruppo di partigiani, a guerra finita, aveva fatto irruzione nelle celle e aveva ucciso 54 persone, tra cui alcuni militanti fascisti o presunti tali, ma anche detenuti comuni. Il ricordo di quell’episodio è spesso motivo di contrasti politici e in passato sono avvenuti scontri con la polizia.
Tra gli assolti compaiono alcuni volti noti del mondo neofascista vicentino: Domenico Obrietan (già segretario provinciale de La Destra), Gian Luca Deghenghi (portavoce di Movimento Italia Sociale, alleata con Forza Nuova alle elezioni del 2018), Luigi Tosin (presidente di Continuità ideale) e Giordano Caracino (padovano, già portavoce di VFS). Nell’elenco anche Pietro Puschiavo, presidente di Progetto Nazionale. Negli ultimi decenni Schio ha ospitato vari esponenti di spicco della destra. Da Don Giulio Tam, prete fascista scomunicato, Roberto Fiore (numero uno di Forza Nuova), fino a Mario Borghezio e Alessandra Mussolini.
Alcuni giorni prima della sentenza, presso la biblioteca comunale di Schio (sede delle vecchie carceri) si è tenuto un incontro per ricordare il patto di concordia civica che nel 2005 cercò una pacificazione tra Anpi, Avl (volontari per la libertà), Comune e famigliari delle vittime di quell’episodio. Gli scontri degli ultimi anni hanno costretto i protagonisti del patto a ricordare l’Eccidio in luogo riservato per evitare disordini cittadini.