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Ucraina, l’invio di cibo e vestiti è inefficiente. Meglio donare soldi a chi sa come utilizzarli

Lo sapete che sugli aiuti umanitari si potrebbe litigare come sull’invio delle armi?

In parte è accaduto a me, di provocare e ospitare un accanito dibattito social sotto un post nel quale dicevo che le principali organizzazioni umanitarie chiedono di smettere di inviare cibo e vestiti in Ucraina e dintorni. E’ una polemica un po’ imbarazzante, bisogna distinguere molto bene la critica costruttiva dall’accusa, perché comunque si tratta di buone intenzioni e di opere di bene.

Mi confermano gli esperti che in molte crisi umanitarie si ripropone la stessa questione, di fronte all’arrivo massiccio spontaneo e scoordinato di aiuti via terra (ma talvolta anche in aereo). Meglio donare soldi a chi sa come meglio utilizzarli, in base a necessità puntuali e puntualmente verificate. Chi sta raccogliendo genericamente “beni di prima necessità”, e innanzitutto chi regala beni di prima necessità dopo averli magari comprati al supermercato, pensa che tra qui – tra il proprio comune italiano e la frontiera polacco-ucraina – ci siano il deserto, il mare, le bombe, la carestia? Pensa che sia necessario far viaggiare un pacco di spaghetti per 1800 chilometri su un furgoncino, spendendo centinaia di euro di benzina o gasolio (tra l’altro le più care d’Europa)?

Ho chiesto al responsabile polacco di un campo profughi autogestito da volenterosi di cosa avessero bisogno. Un po’ di tutto, tranne vestiti, quelli stanno intasando la frontiera. Gli ho chiesto se cibo, letti a castello, lavastoviglie non si trovassero più facilmente in Polonia. Certo, mi ha risposto Kamil, qui si trova tutto, ce li puoi anche spedire con Amazon locale. Ma noi ringraziamo per ogni dono. Come dire: “se per farci arrivare qualcosa hai la necessità psicologica emotiva di comprarla dal tuo negoziante e di portarla col tuo mezzo guidando per due giorni ininterrotti son problemi tuoi, a noi va bene lo stesso”.

Da Lviv, Leopoli, il gruppo Zero Waste (di cui parleremo presto per una loro iniziativa) ci fa notare che l’arrivo di troppi beni tipo vestiti ha contribuito a mandare in crisi il sistema della gestione dei rifiuti. Ma, in ogni caso, anche quando non si creano problemi giganteschi di stivaggio e distribuzione resta lo spreco di soldi, tempo, energia ed emissioni. Dalla Germania partono per Leopoli treni che possono portare in un colpo solo mille tonnellate. Da Torino ci si vanta di aver fatto partire centinaia di viaggi in Tir. Certo, si vanno a prendere profughi che vogliono un passaggio in Italia. Ma i passaggi in Italia ci sono continuamente, con ogni tipo di mezzo. Capisco chi vuole andare a prendere una persona conosciuta, ma perché nessuno ha chiesto di attivare treni? La linea ferroviaria c’è, solo che attualmente dal confine polacco ungherese a Milano occorre cambiarne almeno quattro.

Insomma, dovremmo forse riconoscere apertamente che l’esigenza di questi aiuti con lunghi viaggi stradali privati è anche e soprattutto esigenza di essere presenti, di dare un segnale, di comunicare. Dal punto di vista logistico ed economico (e ambientale) sono dispendiosi e inefficienti. Nel dibattito social che vi citavo un sociologo favorevole alla “carovana” da Milano diceva che in questo modo si mobilitano persone e aiutano commercianti, che magari non darebbero soldi a una “mera” sottoscrizione. Ma se grandi organizzazioni sperimentate come Caritas Coop Croce Rossa e molte altre chiedono di inviare soldi e non di comprare/regalare/spostare merci è perché sanno di cosa parlano.