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Ucraina, non solo combattenti per la patria: le testimonianze degli uomini che scappano per “non morire a causa del dittatore Putin”

Zelensky, all'inizio del conflitto, ha ordinato che nessun connazionale di età compresa fra i 18 e i 60 anni possa andarsene liberamente, tranne coloro in possesso di permessi speciali. Molti ragazzi giovani, però, hanno deciso di lasciare il Paese ugualmente, perché non vogliono immolarsi per difendere il Paese

C’è un’Ucraina che combatte: è quella dei militari in prima linea sul fronte, delle milizie volontarie che pattugliano le città e allestiscono i check point, dei cittadini organizzati nei comitati di quartiere, che stanno allestendo la resistenza casa per casa. Ma c’è anche un’Ucraina che scappa: e non è solo quella costituita da donne, anziani e bambini, che stanno prendendo d’assalto i treni per andare a Ovest o magari all’estero, ma anche una parte significativa di uomini in età da combattimento sta lasciando il Paese. Zelensky, all’inizio del conflitto, ha ordinato che nessun connazionale di età compresa fra i 18 e i 60 anni possa andarsene liberamente, tranne coloro in possesso di permessi speciali che non si ottengono così facilmente. Eppure, oltrepassato il confine con la Moldova dall’ultimo avamposto ucraino di Mohyliv Podilskyi, tre suv potenti da 80mila euro l’uno sono parcheggiati al di là della frontiera. La targa è quella di Kiev, i bagagli sono stipati all’inverosimile, gli automobilisti non sono esponenti del gentil sesso ma ragazzoni con rolex e abiti firmati. Come hanno fatto a varcare la frontiera? La voglia di comunicare è sotto zero come la temperatura notturna fra le due sponde del fiume Nistro, confine naturale fra i due Paesi. Non insistiamo anche perché la reticenza è comprensibile e non è certo compito di nessuno giudicare moralmente chi scappa, ma che ci siano migliaia di maschi ucraini già all’estero è un dato di fatto. La guerra non è per tutti e chi decide di andarsene merita rispetto, ma come spesso succede se ne vanno quelli che possono permetterselo. I poveri diavoli rimangono, combattono e purtroppo anche muoiono.

“Vado verso Kamianets Podilskyi e poi da lì deciderò che fare, ma di certo non imbraccerò il fucile”. A rivelarlo, con schiettezza, è Aleksander sul treno che da Kiev porta i rifugiati verso la Moldova. “Non voglio immolarmi per il mio Paese anche se ritengo l’invasione di Putin un atto criminale; ma sono giovane, ho un’intera vita davanti e non voglio perderla a causa di un barbaro dittatore”. Venticinque anni, capello alla moda come tutti i suoi coetanei europei, inglese fluente e sguardo rivolto verso Roma, Parigi e Berlino, non certo a Mosca. “Arriverò nei prossimi giorni al confine e poi vedrò come fare. Alcuni amici mi hanno riferito che basta pagare poche grivnie per andarsene, altri invece parlano di almeno 200 euro e qualcuno anche di più. Non so cosa mi diranno e inoltre devo fare attenzione perché so che questo è un atto penalmente perseguibile ma non voglio morire per l’Ucraina”.

Non è l’unico, Aleksander (Sasha), a cercare di fuggire. Le donne sul convoglio sono la stragrande maggioranza ma il 10% è composto da uomini e non solo anziani. Alla frontiera, davanti a noi, ce n’è uno attorno ai quarant’anni con una ragazza più giovane, forse la figlia. Hanno uno zaino dove portano tutti i loro averi ed un gatto in gabbia che miagola e distoglie l’attenzione delle guardie. Gli chiedono i documenti. Lui mostra il permesso “speciale” per lasciare l’Ucraina. Confabulano, passano i minuti, la tensione cresce ma alla fine anche il quarantenne riesce a passare (e senza mance). Ne vediamo altri attraversare rapidamente la frontiera e giungere senza problemi in Moldova. Si abbracciano con le mogli, si coccolano le figlie. Sono liberi di raggiungere l’Europa e di rifarsi una vita. Ed è giusto così. Molti altri, invece, hanno deciso di restare. E qualcuno addirittura di rientrare in patria per unirsi alla lotta e fermare l’invasione.