Cinema

Il cinema “terribilmente” profetico dei registi ucraini: tre film avevano già catturato l’orrore di una situazione destinata ad esplodere

Dombass del grande cineasta Sergei Loznitsa è stato premiato al Festival di Cannes nel 2018, Valentyn Vasyanovych ha diretto Atlantis (premiato a Venezia) e Reflection. Pellicole giudicate “più ostiche” per il pubblico sono sparite dalla circolazione

Il cinema la denuncia da anni, ma in pochi ne avevano colto l’urgenza. Se non ora con una vera e propria invasione. Eppure dell’annosa “crisi” (per usare un eufemismo) tra Mosca e Kiev i registi ucraini non hanno mai fatto segreto. A partire dall’evento che fece più clamore presso l’opinione pubblica mondiale legato all’arresto e detenzione del cineasta-attivista Oleg Sentsov avvenuto nell’agosto 2015 per aver contestato le azioni russe contro la Crimea: carcere estremo in Siberia, sciopero della fame per protesta, il Festival di Berlino a sposarne la causa con forti accuse alla Russia sfociate nel 2017 con la programmazione del documentario The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov firmato dal collega uzbeko residente russo Askold Kurov.

Sul fronte delle opere cinematografiche recenti realizzate da filmmaker ucraini almeno tre evidenziano l’orrore di una situazione destinata ad esplodere. Peccato che nessuno di questi film al momento sia visibile in Italia: dopo il passaggio ai grandi festival internazionali è triste consuetudine che alcune delle pellicole giudicate “più ostiche” per il pubblico spariscano dalla circolazione senza mai toccare le nostre sale cinematografiche.

Emblematico fin dal suo titolo è Dombass del grande cineasta Sergei Loznitsa, film premiato al Festival di Cannes nel 2018 per la miglior regia nella sezione Un Certain Regard. Girato a Kryvyi Rih (a 300km a ovest di Donetsk) e diviso in tredici segmenti, è un’esplorazione delle ragioni che hanno nutrito il conflitto oggi deflagrato. Al centro, infatti, è il racconto della lotta armata tra Ucraina e la cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk.

Scritti e diretti dal talento di Valentyn Vasyanovych si segnalano altri due lungometraggi purtroppo assai pertinenti al presente, entrambe dotati di una potenza espressiva estrema unita a notevole originalità nell’uso del linguaggio cinematografico. Vincitore della sezione veneziana Orizzonti del 2019, Atlantis è un dramma distopico ambientato in un 2025 inteso “all’indomani” della fine del tormentato conflitto tra Russia e Ucraina frutto dell’escalation dell’annosa guerra del Dombass. Terribilmente profetico, Atlantis è già una elaborazione del lutto di un Paese tramortito laddove il protagonista, un soldato ex combattente affetto da disturbo post traumatico, torna sul campo di guerra per cercare e dissotterrare dalle fosse comuni le vittime civili.

Programmato all’ultima Mostra veneziana, ma stavolta in corsa per il Leone d’oro, Reflection è invece il racconto di un giovane chirurgo di Kiev che, nella primavera del 2014, viene rapito e imprigionato dai russi presso le tristemente note zone orientali del Paese. L’uomo viene torturato e intimato al silenzio rispetto agli orrori perpetrati dai militari russi sulla popolazione ucraina, costretta a difendersi da imboscate, atroci torture, incenerimenti di cadaveri che vengono dissolti nel nulla. Solo ultima rispetto alle altre per ragioni produttive, Reflection è un’opera straordinaria sul teatro della vita, della morte e sui corpi che le abitano, ma anche sulla verità e sulla menzogna di cui il dispositivo cinematografico diviene sostanziale testimone.