Scienza

Covid, gli studi preliminari sui test per rilevare la variante Omicron: “Salivari più affidabili”

In particolare una delle ricerche indica che le particelle virali contenute nella saliva hanno raggiunto il picco di concentrazione da uno a due giorni prima di essere rilevate da un test rapido nasale

La variante Omicron ha sparigliato le carte. I vaccini hanno bisogno di essere aggiornati. E cosa ancora più urgente vanno aggiornati i test diagnostici. Qualche giorno fa Guido Rasi, consulente scientifico del commissario Figliuolo e direttore scientifico di Consulcesi, ha dichiarato che i tamponi antigenici rapidi sono poco affidabili nell’individuare la variante rilevata per la prima volta in Sudafrica e Botswana, tanto che quasi uno su due dà un falso positivo. Ma per avere a disposizione nuovi test c’è bisogno di tempo. Mentre quindi gli scienziati lavorano a questo obiettivo, uno studio americano suggerisce una strategia più tempestiva e affidabile per rilevare l’Omicron con gli attuali test a disposizione: basarsi sui campioni salivari provenienti dalla faringe. Stando al paper pubblicato in preprint su medRxiv, quindi non ancora sottoposto al processo di revisione tra pari, i test rapidi che si basano solo su tamponi nasali potrebbero non rilevare la variante nei primi giorni dell’infezione, facilitando così la diffusione dei contagi. Mentre i test molecolari salivari sembrano più affidabili.

Lo studio ha coinvolto un piccolo campione di persone risultate positive al virus Sars-CoV-2 lo scorso dicembre. I soggetti provengono da cinque diversi luoghi di lavoro situati a New York, Los Angeles e San Francisco e sono stati sottoposti a test antigenici effettuati con tamponi nasali e test molecolari della saliva effettuati con tamponi faringei. Ebbene, dai risultati dello studio è emerso che 28 persone sono risultate infette alla variante Omicron, ma alcuni di essi sono risultati negativi ai test rapidi nelle prime 24-48 ore dell’infezione. In particolare, in cinque partecipanti, lo studio indica che le particelle virali contenute nella saliva hanno raggiunto il picco di concentrazione da uno a due giorni prima di essere rilevate da un test rapido nasale.

I ricercatori sono stati in grado di dimostrare anche le possibili conseguenze drammatiche di una tale defaillance dei test rapidi. Quattro partecipanti allo studio sono risultati negativi anche quando gli studiosi hanno avuto conferma che queste stesse persone hanno contagiato altri. “Abbiamo scoperto che i test rapidi antigenici ritardano nella capacità di rilevare Covid-19 durante un primo periodo di malattia, quando la maggior parte degli individui è infettiva con la variante omicron”, spiegano gli studiosi, secondo il quale il problema potrebbe essere superato o quantomeno mitigato dall’utilizzo di tamponi molecolari salivari.

Anche se sono necessari ulteriori ricerche che confermino i risultati di questo studio, le conclusioni sono in linea con quanto dichiarato dalla Food and drug administration (FDA). Sulla base degli studi di laboratorio dell’agenzia statunitense, “i primi dati suggeriscono che i test antigenici rilevano la variante Omicron ma potrebbero avere una sensibilità ridotta”. I risultati dello studio sono in linea anche con quanto concluso da altre ricerche. Come quella recentemente condotta dall’Università di Hong Kong, che ha analizzato campioni di tessuto respiratorio di pazienti positivi ad omicron, evidenziando in questo modo come la nuova variante sembri infettare più velocemente ed efficientemente i bronchi umani rispetto ai polmoni. Questo significa che il virus potrebbe presentarsi più diffusamente nella saliva rispetto alla mucosa nasale. Un altro studio, pubblicato in preprint sul server medRxiv, suggerisce che i tamponi nasali rilevano l’86 per cento delle infezioni da Omicron contro il 100 per cento delle infezioni dalla variante Delta.

Tutti questi dati, pur essendo preliminari, gettano qualche dubbio sulla strategia di rilevamento dei contagi adottata da alcune regioni per velocizzare il tracciamento e l’isolamento dei casi, che prevede l’utilizzo dei tamponi antigenici rapidi. “Tuttavia, prima di concludere che i tamponi antigenici rapidi siano completamente inutili o quasi abbiamo bisogno di ulteriori dati”, conclude Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano.