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Tim, i conti non tornano nel gruppo di telefonia che ha appena liquidato con 7 milioni (e manlevato) l’ex ad Luigi Gubitosi

Il numero uno uscente incassa 6,9 milioni e viene sollevato dalle responsabilità patrimoniali del suo ordinario operato in azienda. Una concessione particolarmente rilevante dal momento che i risultati della società si stanno rapidamente deteriorando e c'è in discussione l'intesa per la Serie A raggiunta con Dazn

I conti non quadrano in Tim. Il socio francese Vivendi chiede e ottiene la testa dell’ex numero uno Luigi Gubitosi. Immagina azioni di responsabilità. Ma intanto gli azionisti sono disponibili a pagare all’ex numero uno di Tim una liquidazione da 6,9 milioni e accordano una manleva. Gubitosi viene quindi sollevato dalle responsabilità patrimoniali del suo ordinario operato in azienda. Una concessione particolarmente rilevante dal momento che i risultati della società si stanno rapidamente deteriorando e c’è in discussione l’intesa per la Serie A raggiunta con Dazn. Intanto il consiglio ha rinviato ancora il giudizio sulla manifestazione d’interesse del fondo americano Kkr che sarebbe disposto a mettere sul piatto 40 miliardi per rilevare l’intero gruppo, procedere a separare la rete dai servizi di telefonia e fare gli investimenti necessari al rilancio. Con la ristrutturazione che ne conseguirebbe.

La situazione è in sintesi particolarmente delicata. Preoccupa molto sindacalisti e politici che temono la possibilità di licenziamenti e tensioni sociali. Non a caso, mentre era in corso il consiglio di Tim, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha chiesto al governo di “vigilare per evitare svendite e spezzatini”. Una posizione in linea con quella del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che tuttavia finora, nonostante le promesse, non ha sciolto il nodo del conflitto d’interessi e del ruolo di Cassa Depositi e Prestiti, socia sia di Tim che della rivale Open Fiber. Su un punto però tutti sono d’accordo: gli asset strategici vanno tutelati e i poteri speciali (il cosiddetto golden power) sono lo strumento per farlo.

Così mentre alle porte di Tim bussa il fondo Kkr che vorrebbe sostituirsi ai francesi di Vivendi, giovedì 16 dicembre la compagnia telefonica è stata costretta a rivedere al ribasso le previsioni sugli utili per l’anno in corso rendendo inquieti gli investitori per almeno tre ragioni. La prima è che si tratta del terzo ritocco al ribasso comunicato a sorpresa in appena sei mesi. La seconda è che l’allarme sui profitti sarebbe partito dal collegio sindacale, in seguito ad una verifica del revisore Pwc. La ragione? Per la società di consulenza le stime del management sui frutti dell’accordo con Dazn per la distribuzione della Serie A TIM sarebbero state eccessivamente generose (ci sarebbero circa 540 milioni di troppo). La terza è che Tim ha ridimensionato le previsioni di vendita sulla telefonia fissa in Italia: in pratica l’azienda ha dovuto prendere atto che sul suo mercato principale i ricavi 2021 rischiano di scendere del 6-7 per cento causando una contrazione della redditività (margine lordo) compresa fra il 13 e il 15 per cento. Detta in altre parole, l’ex monopolista ha dovuto indirettamente ammettere che sta accusando il colpo della concorrenza di Open Fiber, controllata da Cassa Depositi e Prestiti.

In questo scenario è quanto mai essenziale per il management trovare la quadra sulle attività industriali. Non a caso, il nuovo direttore generale, Pietro Labriola, si è immediatamente preoccupato di rinegoziare il contratto con Dazn. Per l’ex monopolista, l’obiettivo è spuntare uno sconto dei minimi garantiti da 340 milioni l’anno sui prossimi tre esercizi. Evidentemente l’opzione non piace a Dazn. Con il risultato che l’intera faccenda rischia di finire a carte bollate. Con tanto di accantonamenti milionari necessari in bilancio e spese legali in conto. Opzione, quest’ultima, che giustificherebbe un’azione di responsabilità contro l’ex numero uno Gubitosi. Questo scenario penalizzerebbe di molto Tim in Borsa comprimendo ulteriormente il valore del titolo che venerdì valeva 0,44 euro contro 0,505 proposti da Kkr nella sua manifestazione d’interesse.

Sullo sfondo resta la questione degli assetti azionari. Il fondo americano Kkr non ha ancora formalizzato la sua offerta per Tim. Ma ha fatto sapere di essere disposto a sborsare 40 miliardi di cui dieci per l’offerta e 30 per gli investimenti necessari alla società per tornare ad essere competitiva. Vivendi però non è disposta ad uscire di scena. Anche perché è convinta che Tim possa valere di più della cifra offerta da Kkr separando la rete dai servizi di telefonia. Punta ad essere il dominus della trasformazione di Tim accanto a Cassa Depositi e Prestito. In questo modo peraltro si metterebbero le basi per un’eventuale fusione della società della rete con la rivale Open Fiber, il vecchio progetto dell’ex premier Giuseppe Conte. In sintesi, nella battaglia per la conquista di Tim, sembra ormai scontato che chiunque la spunterà procederà poi a una difficile ristrutturazione e riorganizzazione degli oltre 40mila dipendenti dell’ex monopolista della telefonia italiana. Salvo che il governo non trovi una soluzione che salvi capra e cavoli. Ma che potrebbe essere estremamente costosa per le tasche degli italiani.