Cinema

Lina Wertmüller, come altri grandi, ha finito la carriera con un film bruttissimo

Come è accaduto a Dino Risi con Giovani e belli (’96) e a Mario Monicelli, con Le rose del deserto, (2006), anche Lina Wertmüller, scomparsa oggi a 93 anni, ha concluso la propria luminosa e geniale carriera di regista per il cinema con un film bruttissimo, uscito due anni dopo la sua realizzazione, incassando in Italia 4.000 euro, nonostante la presenza di Sophia Loren (l’ideatrice, che aveva proposto il titolo La terrazza dei gerani, poi inutilmente “wertmüllerizzato” in Peperoni ripieni e pesci in faccia).

Preferisco ricordare Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich (questo il suo aristocratico e lunghissimo vero nome, chilometrico come i titoli dei suoi film…) per le opere che l’hanno portata, già nel ’77, alla candidatura all’Oscar (miglior film straniero, migliore sceneggiatura originale e miglior regista) con Pasqualino Settebellezze e, lo scorso anno, a quello alla carriera. “Pasqualino, quello vero, lo conobbi, era stato in un campo di concentramento. Io avrei voluto interpretarlo come un Pulcinella recluso”, racconterà Giancarlo Giannini. Sarebbe superfluo citare qui tutti i 23 film della Wertmüller per il grande schermo, i suoi otto lavori per la tv, fra i quali il mitico Gian Burrasca (’64-’65), sull’onda del quale diresse, l’anno successivo, per il cinema, Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara, sempre con la coppia Giancarlo Giannini-Rita Pavone. “Allora facevo tanto teatro e non guadagnavo molto, così accettai di girare quei musicarelli”, ricordava ancora Giannini.

La Wertmüller s’era introdotta nel mondo del cinema grazie a una robusta gavetta giovanile, come assistente, ad esempio, di Armando Grottini, nel musicarello sentimentale Napoli canta (’53) con Giacomo Rondinella e una fantastica diciassettenne di nome Virna Lisi. Dieci anni dopo è già al fianco di Fellini, ancora come assistente, ne La dolce vita e 8 e 1/2. Per il suo primo lungometraggio dovrà attendere fino al ’63 con I basilischi, una sorta de I vitelloni in salsa lucana (ma girato nelle Puglie, a Minervino Murge) che segna il debutto cinematografico del rimpianto Stefano Satta Flores. E torna a girare un film “di riferimento” che, stavolta almeno nel titolo, si ispira a Se permettete parliamo di donne, uscito l’anno prima, per la regia di di Ettore Scola, sfornando Questa volta parliamo di uomini, con Nino Manfredi interprete di tutti e quattro gli episodi del film.

Il successo di critica (con tanto di nomina a Cannes) e di pubblico arriva nel ’72 con Mimì metallurgico ferito nell’onore che battezza il duo Giannini-Melato (soggetto e sceneggiatura sono della regista) e che sottolinea anche l’impegno politico della Wertmüller, vicina al PCI (solo successivamente, nel 1987, su proposta di Bettino Craxi, verrà inclusa tra i membri dell’Assemblea nazionale del PSI). Bissa, l’anno dopo, con Film d’amore e d’anarchia – Ovvero Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza… (questo il titolo completo) consacrando il binomio Melato-Giannini (il quale vince a Cannes come migliore attore) che si ripete in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto. Giannini è candidato all’Oscar come miglior attore, stavolta senza la Melato, per il già citato Pasqualino Settebellezze. La Wertmüller ripete il successo (e la sua vicinanza al PCI) con La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (78), sempre con il suo attore-feticcio Giannini, stavolta accanto a una splendida Candice Bergen.

La coppia vincente muta nello stesso anno quando la Wertmüller ingaggia la Loren e Mastroianni, ma senza abbandonare Giannini, per Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici, un buon film, anche se non all’altezza di quelli con la Melato che ritorna nel 1986 con Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico, stavolta a fianco di Michele Placido.

Sono decine gli attori (anche star internazionali) che hanno lavorato con la Wertmüller. Oltre a quelli già citati ci sono Ugo Tognazzi (Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (’83), c’era stata Elsa Martinelli ne Il mio corpo per un poker (’68), una sorta di spaghetti-western (e chi non l’ha girato in quegl’anni, da Lizzani a Pasolini…). E ancora Eros Pagni, Isa Danieli, Fernando Rey, Turi Ferro, Gastone Moschin, Roberto Herlitzka, Rutger Hauer, Nastassja Kinski, Dominique Sanda, Peter O’Toole, Faye Dunaway, Paolo Villaggio (il maestro de Io speriamo che me la cavo, tratto dal libro di Marcello D’Orta), Stefania Sandrelli, Raoul Bova, Veronica Pivetti, Tullio Solenghi, Piera Degli Esposti e persino l’ex moglie di Berlusconi, Veronica Lario, nella sua migliore prova d’attrice, laddove vive una potenziale storia lesbica in Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione (’84) con tanto di colonna sonora di Paolo Conte.

Fra le altre, una sua illuminante biografia (Tutto a posto e niente in ordine, Vita di una regista di buonumore, Oscar Mondadori), e il biopic di Valerio Ruiz, suo stretto collaboratore che si intitola Dietro gli occhiali bianchi, laddove si raccontano decine e decine di aneddoti come le settanta canzoni scritte da lei per Gian Burrasca fino alla l’amicizia con Dustin Hoffman, alla sua plastica al naso all’acquisto estemporaneo dell’attico romano dove ha vissuto. Proprio quegli occhiali bianchi che non si è mai tolti e che la identificano come icona immortale di un periodo d’oro del cinema italiano.