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Usa, il diritto all’aborto è appeso a un filo: la legge del Mississippi dimezza il tempo a disposizione per interrompere la gravidanza. E la Corte Suprema, in mano ai conservatori, potrebbe approvarla

La decisione è attesa per giugno e potrebbe prevedere la cancellazione della Roe vs. Wade, cioè la sentenza storica con cui nel 1973 è stato sancito il diritto ad abortire negli Stati Uniti. L'amministrazione Biden considera l'ipotesi "una grave minaccia". Soltanto nel 2021, oltre 600 norme sono state presentate a livello locale per limitare l'accesso all'interruzione di gravidanza. Novanta sono state approvate. Intanto, però, una donna su quattro l'ha praticata

“Sono a favore della Roe vs. Wade. E continuerò a sostenerla”. È netta la presa di posizione di Joe Biden a favore del diritto all’aborto per le donne americane, messo a rischio da una prossima sentenza della Corte Suprema. La portavoce di Biden, Jen Psaki, è ancora più esplicita. La sentenza della Corte “rappresenta una grave minaccia” ai diritti delle donne. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, non sembra però che l’amministrazione possa al momento fare molto per evitare una sentenza che limiterà pesantemente il diritto all’interruzione della gravidanza negli Stati Uniti. E anche i gruppi femministi, che pure in queste settimane si sono mobilitati con campagne, rallies, sit-in, sembrano inchiodati alla stessa frustrante impotenza.

Il futuro dell’aborto negli Stati Uniti è infatti ormai indissolubilmente legato alla decisione dei nove giudici della Corte Suprema. Ed essendo ormai la Corte saldamente nelle mani dei giudici conservatori – sono in sei, contro tre liberal – non sembrano esserci molti dubbi su quale sarà questa decisione. Donald Trump, nei quattro anni della sua presidenza, si è trovato in una posizione straordinaria e inedita: quella di poter nominare tre giudici. E le sue scelte – Neil Gorsuch, Brett Kavenaugh, Amy Coney Barrett – sono state orientate verso giuristi anti-aborto e disponibili a rivedere, o cancellare, la Roe vs. Wade, la sentenza della Corte Suprema che nel 1973 legalizzò l’aborto negli Stati Uniti e che da mezzo secolo è l’obiettivo di furenti attacchi da parte dei gruppi religiosi e conservatori.

Da un punto di vista legale, non c’è alcun dubbio che la legge fatta passare in Mississippi nel 2018 sia in evidente contrasto con la Roe vs. Wade. La legge del Mississippi fissa il limite entro cui poter ricorrere all’aborto entro le 15 settimane. La Roe vs. Wade e una successiva sentenza del 1992 (Planned Parenthood vs. Casey) davano invece più tempo alle donne: fino alla 28esima settimana (all’incirca, il momento in cui il feto può sopravvivere autonomamente fuori del grembo materno). Negare questo diritto avrebbe significato, secondo Roe e Casey, “porre un peso indebito” sulle spalle di una donna. La legge del Mississippi quindi dimezza il tempo a disposizione delle donne per accedere all’aborto. Non è così radicale come un’altra misura recentemente passata in Texas, che fissa il limite alle sei settimane, ma riconsidera comunque fortemente il diritto all’aborto riconosciuto negli Stati Uniti per gli ultimi cinquant’anni.

La strategia dei giudici conservatori – la sentenza è attesa per giugno – può essere a questo punto di due tipi. La prima, più moderata, è quella espressa dal presidente della Corte, John Roberts (nominato da George W. Bush) che sarebbe orientato a sostenere la costituzionalità della legge del Mississippi senza però disconoscere apertamente la Roe vs. Wade. “Perché 15 settimane non sono un tempo sufficiente per decidere di abortire?” si è chiesto durante l’udienza Roberts. L’altra strategia è più radicale e comporta la cancellazione tout court della Roe vs. Wade. “In nessuna parte della nostra Costituzione esiste un diritto all’aborto”, ha detto il giudice Kavenaugh. E, di fronte all’argomentazione secondo cui sarebbe molto pericoloso per la Corte disconoscere una sua sentenza del passato, un altro conservatore, il giudice Samuel Alito ha osservato: “È successo tante volte nel passato che la Corte abbia disconosciuto sentenze precedenti. Per esempio, in tema di integrazione razziale”.

Che prevalga tra i conservatori la prima o la seconda strategia, l’esito sarà comunque lo stesso. Una serie di Stati a guida repubblicana, soprattutto nel Sud e nel Centro, voteranno leggi possibilmente ancora più limitative di quella del Mississippi e il diritto all’aborto sarà di fatto cancellato in buona parte degli Stati Uniti – almeno 22 Stati, è stato calcolato. Milioni di donne saranno costrette, con costi psicologici ed economici non indifferenti, a farsi carico di un lungo viaggio per raggiungere quegli Stati dove l’aborto sarà ancora a disposizione, tendenzialmente sulle coste Est e Ovest (in 15 Stati americani esistono leggi che proteggono il diritto all’aborto). La spaccatura tra l’America blu e quella rossa, tra città e campagne, tra progressisti e conservatori, sarà evidente nella mappa degli Stati che consentono, o non consentono, l’aborto.

Si tratta di un esito che riflette gli orientamenti generali degli americani? Non proprio. Un sondaggio Gallup dello scorso giugno mostra che il 58 per cento degli americani è contrario alla cancellazione della Roe vs. Wade. Esistono poi sfumature diverse. Per esempio, una ricerca della Kaiser Family Foundation del 2020 rilevava che il 69 per cento degli americani sono a favore di qualche limitazione a tempi e modi dell’aborto. Nell’insieme, comunque, la maggioranza degli americani continua a essere pro-choice. Del resto, secondo dati federali, una donna americana su quattro ha praticato un aborto. Limitare fortemente o cancellare questo diritto andrebbe quindi contro la volontà della maggioranza e colpirebbe, ovviamente, le fasce economicamente e socialmente più deboli della popolazione, soprattutto le donne nere e ispaniche che spesso non hanno i mezzi economici per viaggiare nelle cliniche di un altro Stato.

Quello che pensa la maggioranza degli americani non è però tema che possa in qualche modo rallentare l’azione dei gruppi anti-abortisti, religiosi e conservatori. La strategia messa in atto negli ultimi decenni da questi gruppi mira del resto proprio a istituzioni e regolamenti. A differenza dei progressisti, che hanno sempre guardato all’organizzazione dal basso e all’associazionismo femminile, i conservatori hanno puntato sui giudici e sulle leggi. I presidenti repubblicani, da Ronald Reagan a Donald Trump, hanno usato fino in fondo il loro diritto di nominare giudici federali tendenzialmente anti-aborto (Reagan nominò 402 giudici, un record). Parallelamente, negli Stati e nelle città da loro controllati, i repubblicani approvavano norme che rendevano sempre più difficile praticare l’interruzione di gravidanza: da limiti sempre più stringenti all’assunzione di medici abortisti all’aggiunta di regole impossibili da applicare per le cliniche che si occupano dei diritti riproduttivi delle donne. Soltanto nel 2021, oltre 600 norme sono state presentate a livello locale per limitare l’aborto. Novanta sono state approvate.

La strategia di repubblicani e conservatori è stata quindi verticistica, istituzionale. Un’avanguardia religiosa e conservatrice che non è maggioranza in America è riuscita a imporre le sue scelte. Oggi la Corte Suprema, in tema di aborto, non riflette gli orientamenti della maggioranza degli americani. I giudici federali non rappresentano l’opinione della maggioranza. Ma, essendo il diritto all’aborto regolamentato per via giudiziaria e non politica, i conservatori, con determinazione e lungimiranza, hanno preso di mira proprio le istituzioni giudiziarie. Le hanno conquistate e ora celebrano il loro trionfo. Da questo punto di vista, appare un crudele sarcasmo quanto detto dal giudice Kavenaugh durante l’udienza della Corte. “La Costituzione lascia al popolo degli Stati e al Congresso l’onere di una decisione democratica sull’aborto”. Kavenaugh sa molto bene che il Congresso non è riuscito, per decenni, a votare una legge sull’aborto. E che in molti Stati del Sud e del Centro la persistenza di una cultura religiosa e messianica ha contrastato i diritti delle donne. Proprio per questo era stata la Corte, nel 1973, a intervenire. E proprio per questo i conservatori religiosi hanno preso di mira la Corte.

Che cosa resti a questo punto da fare per i gruppi femministi, pro-choice, per democratici e progressisti, resta un enigma di difficile soluzione. Biden sa di non avere una maggioranza al Congresso per far passare una legge. Le prospettive future sono ancora più cupe. I repubblicani sono dati per vincenti alle elezioni di mid-term del novembre 2022 e, se così fosse, l’approvazione della legge diventerebbe un triste miraggio. La via giudiziaria, quella di bloccare nei tribunali le misure anti-aborto che i vari Stati cominceranno a implementare, appare altrettanto difficile. I conservatori controllano per l’appunto la Corte Suprema e buona parte delle corti federali, soprattutto al Sud. Per cambiare gli equilibri nella Corte ci vorranno decenni. Un giudice è infatti nominato a vita dal presidente e Trump si è peritato di designare giudici relativamente giovani. Anche la via giudiziaria, come quella politica, appare impraticabile.

Resta la mobilitazione sociale. Fuori della Corte Suprema, mentre i giudici discutevano il caso, si sono raccolti centinaia di manifestanti pro-aborto: semplici cittadini o militanti di gruppi come #VOTEPROCHOICE. Il 2 ottobre, per protesta contro la legge texana che porta a sei settimane la finestra per abortire, migliaia di donne sono sfilate in centinaia di città americane. È stata una manifestazione imponente, che mostra la preoccupazione e l’urgenza che il tema aborto torna ad avere per milioni di donne americane. Negli Stati Uniti esistono peraltro gruppi potenti e radicati che difendono questo diritto: da Planned Parenthood alla National Abortion Federation a Naral alla National Organization for Women. È però probabile che l’esito di queste manifestazioni finisca per limitare, e non bloccare, la decisione dei giudici conservatori. Probabile, quindi, che a giugno la sentenza della Corte sarà quella indicata dal suo presidente John Roberts. Ammettere la nuova legge del Mississippi, senza arrivare alla decisione più traumatica e divisiva: cancellare una volta per tutte la Roe vs. Wade.

L’America che, almeno per ora, possiamo immaginare, è un Paese nettamente spaccato in due: alcuni Stati metteranno a disposizione l’aborto, e altri invece lo negheranno. Del resto, a parte tutta la lotta politica, sociale, giudiziaria di questi anni, questa è la realtà che già esiste. In gran parte degli Stati Uniti il diritto all’aborto è di fatto precluso. Un esempio per tutti. Il ricorso contro la legge del Mississippi è stato presentato dalla Jackson Women’s Health Organization. Si tratta dell’unica clinica in tutto il Mississippi dove una donna possa ancora abortire. Tra poco, presumibilmente, anche questa non esisterà più.