Economia & Lobby

L’educazione finanziaria deve essere indipendente: chi vende non può anche formare

di Fabio Barbieri

Concluso il mese dell’educazione finanziaria #OttobreEdufin2021 il coro è unanime: “c’è un gran bisogno di educazione finanziaria“. Come non essere d’accordo? Basta andare indietro con la memoria e ricordare quante lacrime hanno versato i risparmiatori per: bond argentini, obbligazioni Cirio e Parmalat, polizze unit linked, il caso dei Buoni Postali Fruttiferi, le quattro banche del centro Italia – ovvero Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Carichieti – le banche venete con Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i casi Carige e Mps, oltre a molti altri meno eclatanti che hanno trovato poco spazio tra le pagine dei giornali.

In questo contesto, mi pongo una domanda: l’educazione finanziaria che ci viene proposta è quella che serve al Paese per emanciparsi dall’asimmetria informativa che, inevitabilmente, connota questa materia? O invece occorre altro?

Mi pare paradossale pensare di riuscire a raggiungere l’emancipazione se le iniziative educative sono promosse e svolte dagli stessi soggetti chiamati ad operare sul mercato finanziario, cioè a vendere i servizi finanziari, e ciò per un semplice fatto oggettivo: la mancanza di indipendenza. Il formatore, in sostanza, non può essere anche venditore perché, al contrario, la formazione sarà inevitabilmente orientata e non libera, come dovrebbe essere. Per funzionare come baluardo a tutela del risparmio l’educazione finanziaria deve essere indipendente: è questo il passaggio cruciale che le istituzioni devono arrivare a comprendere e ad attuare. Abbiamo un panorama bancario sempre più accentrato in pochi grandi gruppi che, di fatto, si dividono i clienti e si divideranno sempre più il mercato. Possiamo simpaticamente immaginarlo e chiamarlo “il bancone unico” (l’immagine è già utilizzata quando si parla di informazione e stampa con “il giornale unico”) che non solo gestisce il mercato ma che, inoltre, insegna le regole e i principi di educazione finanziaria ai cittadini che poi si recheranno presso i suoi sportelli o portali on-line per acquistare prodotti e servizi emessi.

In questo contesto, agli intermediari non può spettare anche un ruolo formativo ma, piuttosto, quello di “vendere” i loro servizi e prodotti al meglio, in modo etico, chiaro e trasparente. E qui si apre un altro capitolo: sì lo so, ho appena scritto “vendere”, volutamente non ho scritto “fare consulenza”. La consulenza è altro. La consulenza non deve essere finalizzata al collocamento di un prodotto o servizio, ma deve essere intesa come orientamento del risparmiatore nel mare magnum delle proposte. Per questo deve essere fatta da chi non ha un guadagno diretto dai prodotti e servizi collocati.

Per il ruolo cruciale che occupano nella formazione delle nuove generazioni di cittadini, questi percorsi devono essere istituzionalizzati e insegnati nelle scuole, diventando oggetto di studio e soprattutto di attività pratiche che permettano alle giovani generazioni di pianificare e programmare fin da subito un percorso di crescita consapevole dal punto di vista finanziario, previdenziale e assicurativo.

Fare educazione finanziaria deve essere una missione a valenza sociale e istituzionale perché saranno proprio quei risparmi, creati dai genitori o addirittura dai nonni, che faranno da tutela a situazioni oggi imprevedibili che potranno essere causate dal taglio della spesa sociale e sanitaria a seguito dei conti pubblici sempre più in rosso. È vero, ho giocato un po’ con l’immaginazione, ho voluto forzare l’idea con uno scenario “orwelliano”, ma la realtà spesso può avvicinarsi alla fantasia e a volte gli corre incontro a braccia aperte…

Al di là dei giochi e delle immaginazioni sono certo che il sistema bancario che in passato ha aiutato il paese a crescere e a svilupparsi saprà accorgersi di questo potenziale conflitto e porre rimedio in tempo, lasciando le funzioni educative alle istituzioni e agli enti indipendenti privi di potenziali interessi.

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