Società

La movida in centro città: l’esempio di Cuneo potrebbe funzionare in molti altri comuni

Il megarave di Torino o di Viterbo, che polarizzano l’attenzione dei tg e permettono alla destra di rilanciare lo slogan “legge&ordine” (un po’ appannato dalla devastazione della sede della Cgil), potrebbero essere letti come una declinazione extralarge della movida, cioè di quella gioiosa anarchia che, nei weekend, permette ogni tipo di “trasgressione”, dal karaoke di notte, ai pestaggi stile Arancia Meccanica, sino al “diritto” di togliere il sonno non solo a chi lavora, ma anche a chi ha problemi di salute.

Parco della Resistenza, a Cuneo, per l’avvocato Claudio Massa, non è solo la zona in cui risiede, ma anche il punto di partenza di una missione civile che, dopo 15 anni di battaglie legali, è riuscita a restituire il sonno ad alcuni gruppi di residenti. “Sono entrato in questo settore in prima battuta come danneggiato – racconta – perché dal 2006 al 2011, in un locale di proprietà comunale nel Parco della Resistenza, hanno aperto un grosso bar che di fatto divenne una discoteca a cielo aperto. Quando mi sono lamentato sulla stampa, l’allora assessore competente, rispose che ‘Cuneo non doveva diventare un dormitorio’. Certo, non deve diventare un dormitorio, ma deve essere un posto in cui la gente può dormire, specie chi, la mattina, deve lavorare e non può permettersi di restare sveglio, solo perché altri vogliono divertirsi”.

Massa racconta che malgrado il suo mestiere, ha impiegato cinque anni per ottenere un provvedimento di riduzione coattiva dell’orario dell’esercizio. Oggi almeno in zona i problemi sono finiti, ma a ogni nuovo gestore l’avvocato scrive una lettera di benvenuto che dice così: “Siamo lieti del vostro arrivo e, se rispetterete le regole, diventeremo sicuramente vostri clienti. Diversamente faremo tutto il possibile per tutelare i nostri diritti”. Minaccia da non sottovalutare visto che nel frattempo gli avvocati residenti nel quartiere sono saliti da 2 a 11.

Una serie di articoli sul centro storico di Savona raccontano di risse serali, di anziani con l’esaurimento nervoso e di cardiopatici o malati di Alzheimer costretti a passare le notti in bianco. “Da quel che leggo – dice Massa – quello che accade a Savona è molto più grave. Per quanto riguarda i soggetti che hanno patologie in corso, è chiaro che l’esposizione al rumore ne aggrava gli effetti e questo può configurare il reato di lesioni colpose”.

“L’amministrazione di Cuneo come ha reagito?”, gli chiedo. “Il 24 luglio 2018 – mi spiega – il sindaco Federico Borgna disse in Consiglio che la normativa sulla tutela dell’inquinamento acustico era inapplicabile in quanto troppo rigorosa, cosa sorprendente da parte di chi dovrebbe esser il primo rappresentante della pubblica sicurezza nel comune che amministra”.

La giustificazione adottata era che la polizia locale, per ragioni di bilancio, non poteva coprire il terzo turno. Il che vuol dire, che dopo le 23, qualsiasi
città diventa zona franca. I comuni possono (ma sovente non vogliono) adottare dei provvedimenti di riduzione dell’orario dei bar fracassoni ma di fatto gli unici che si attivano sono i magistrati, che a Brescia e a Torino hanno condannato al risarcimento del danno anche i comuni, proprio perché non erano intervenuti per reprimere l’inquinamento acustico.

A Savona, città da cui scrivo, i gestori sono divisi: la maggioranza non ne può più delle risse, che a volte devono sedare in prima persona, e della deriva acustica della ‘movida’, ma alcuni locali – dicono i residenti – di fatto la incoraggiano, sia sforando sugli orari che sul volume della musica.

A Cuneo, nel 2011-12, il Comune aveva proposto un protocollo in forza del quale gli esercenti dovevano confrontarsi con i residenti. Quando li ultimi proposero di istituire un meccanismo che consentisse ai residenti di segnalare con video/foto il mancato rispetto degli orari di chiusura, gli esercenti abbandonarono il tavolo. “Grazie alle condanne che abbiamo ottenuto – raccona Massa – molti gestori si sono ‘rassegnati’ a fare un po’ più di attenzione. Consideri però che i comitati di residenti, se non trovano ascolto presso il Comune possono anche attivare il difensore civico regionale. Noi nel 2018 lo avevamo fatto”.

Se la “Resistenza” non fosse solo un rituale che si celebra il 25 aprile, se il suo messaggio – stare dalla parte del più debole – fosse una pratica quotidiana, se in Italia esistesse ancora la sinistra il suo conclamato “ritorno al territorio” potrebbe ripartire affrontando proprio piccoli soprusi come tenere sveglio sino al mattino un malato di cuore. Cosa potrebbe fare? Diverse cose:

1) non rimettere tutto alla polizia ma, intervenire “mettendoci la faccia”, cioè non lasciando soli coloro subiscono l’inquinamento acustico (o che subiscono minacce se lo denunciano) presentandosi insieme alle “vittime”;
2) davanti ai bar fracassoni per chiedere il rispetto delle regole;
3) attuare un sistema di monitoraggio che consenta ai residenti di documentare le violazioni;
4) ridurre coattivamente gli orari degli esercizi e sospendere le licenze dei “riottosi”;
5) lanciare, anche su scala nazionale, una specie di marchio di qualità di “bollino blu”, che segnali ai turisti i locali virtuosi, quelli che non hanno bisogno di guadagnare sull’insonnia altrui.