Diritti

Eutanasia, ecco il nodo gordiano che nemmeno il colpo di spada del referendum può sciogliere

Il referendum sulla parziale abolizione dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente) tocca una materia, come usa dire, di “confine”; il confine, in assoluto, più misterioso e necessariamente inviolato: quello tra la vita e la morte.

Il referendum è propagandato come un quesito “di libertà”: sulla libertà, appunto, di decidere quando morire. Si tratterebbe, insomma, di una scorciatoia per sdoganare, alla buon’ora, anche in Italia la cosiddetta “eutanasia”. Se vincessero i sì, l’articolo 579 c.p. non punirebbe più l’omicidio di una persona: a) maggiore di età; b) capace di intendere e di volere; c) che abbia espresso un valido e non condizionato consenso ad essere “estinto”.

Pochi si soffermano sul fatto che la norma da abrogare è una norma penale e ancor meno rimarcano la gravità del “castigo” previsto per chi, oggi, abbia a macchiarsi di quel delitto: la reclusione da sei a quindici anni. Stiamo parlando, in altri termini, di un reato ritenuto dal legislatore degli anni Trenta meritevole di una sanzione durissima. E ciò in quanto reputato – evidentemente e preliminarmente – oltremodo grave sul piano della coscienza sociale.

Le cose non sono affatto cambiate con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 1948. L’omicidio del consenziente è sempre lì, inalterato, da oltre novant’anni. Dunque è più che lecito chiedersi non solo se sia eticamente opportuno, ma se sia legalmente ammissibile – in un ordinamento giuridico come il nostro, incardinato sui principi assoluti di cui agli articoli da 1 a 54 della Suprema Carta – derubricare al rango di atto lecito (sia pure attraverso uno strumento di democrazia diretta) l’uccisione di un uomo con la connivenza del medesimo.

Vieppiù laddove si consideri che l’ultimo comma dell’articolo 27 della Costituzione (pena di morte consentita in caso di leggi militari di guerra) è stato cancellato dalla legge costituzionale del 2 ottobre 2007, n. 1. Una riforma, quest’ultima, la cui ratio è palese: la vita individuale è un bene indisponibile, non solo da parte del suo titolare, ma pure dello Stato. E anche prima della novella del 2007, la Corte Costituzionale nel 1996 (sentenza nr. 223) aveva interpretato la prefata norma come latrice di un divieto assoluto, giacché mirante alla tutela del bene supremo della vita di cui all’art. 2 della Costituzione.

I promotori del referendum, per parte loro, ne fanno una questione di civiltà. Nel senso che, in molti altri ordinamenti (asseritamente più evoluti, e quindi pretesamente più “civili”) è contemplata e disciplinata la cosiddetta eutanasia: la “dolce morte”, somministrata a chi la chiede per le ragioni, e con le modalità, stabilite dalla legge. Da noi, non solo non c’è una disciplina sull’eutanasia, ma vi è anche la “zeppa” rappresentata proprio dall’articolo 579 del codice penale che rende impossibile (se non a pena di anni di galera) anche solo pensare di poter “erogare” il decesso su richiesta del morituro. Chi lo facesse incorrerebbe nelle maglie della norma che ora il referendum intende cancellare.

Non di rado, i sostenitori dell’eutanasia si rifanno al precedente della nota vicenda Dj Fabo-Cappato dove, però, era in gioco l’articolo 580 del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio. Tale vicenda sfociò nella sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 22.11.2019. Con tale pronuncia, si badi bene, la Corte non dichiarò illegittimo tout court l’articolo 580. Semmai, solo nella parte in cui esso non escludeva la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio “autonomamente e liberamente formatosi” in una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze ritenute intollerabili dal medesimo malato). Il tutto purché siano rispettate le modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge nr. 219 del 2017 sul consenso informato e sul fine vita.

Con la medesima sentenza, peraltro, la Corte ebbe a sottolineare che la sanzione penale dell’aiuto al suicidio di cui all’articolo 580 c.p. – considerato in sé e per sé e al netto della declaratoria di parziale incostituzionalità summenzionata – non può ritenersi in contrasto con la Costituzione in quanto l’articolo 580 c.p. “tutela il diritto alla vita”. Ed è precisamente questo, credo, il nodo gordiano (non scioglibile neanche con il colpo di spada di un referendum) che impedisce di dare diritto di cittadinanza, nel nostro paese, a qualsivoglia pratica eutanasica. Infatti, la vita deve considerarsi un valore “sacro” non solo da un punto di vista religioso, ma anche dal punto di vista “laico”, per così dire. Arrivare a cancellare l’articolo 580 del codice penale credo significherebbe, in ultima analisi, legittimare (a determinate condizioni) un’azione omicidiaria. E, automaticamente, infrangere un imperativo inviolabile non solo per la coscienza di taluni concittadini, ma per la Costituzione di tutti gli italiani.

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