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El Salvador, dopo l’adozione del bitcoin aumenta il dissenso verso il presidente ‘millennial’ Bukele

Il 15 settembre El Salvador ha celebrato i 200 anni di indipendenza dal Regno di Spagna con grandi manifestazioni di piazza contro la gestione del presidente “millennial” Nayib Bukele. Forti proteste hanno acceso le vie della capitale San Salvador, nel giorno del bicentenario dalla creazione della Repubblica Federale del Centro America nel 1821, in risposta alla legge che ha convertito il Bitcoin nella seconda moneta ufficiale del Salvador, affiancando il dollaro statunitense.

Questa iniziativa economica obbliga i commercianti ad accettare il pagamento in criptomoneta per beni e servizi creando una situazione diffusa di disagio e incertezza. Alla “questione Bitcoin” si aggiungono anche, come elementi di forte dissenso cittadino, la decisione della Sala costituzionale della Suprema Corte di Giustizia di permettere la possibilità della rielezione immediata del Presidente per un secondo mandato e la riforma costituzionale sulla quale sta lavorando lo stesso Nayib Bukele. La riforma include l’ampliamento del mandato presidenziale da 5 a 6 anni, l’eliminazione della Sala costituzionale della Corte Suprema di Giustizia e la creazione di un Tribunale costituzionale.

Come “ciliegina sulla torta” c’è poi il nuovo decreto che obbliga il pensionamento di giudici e magistrati che abbiano compiuto 60 anni d’età, un’iniziativa che lascia mano libera al presidente per incidere in modo dirimente nella nuova scacchiera del potere giudiziario. È per questo che movimenti sociali e cittadini comuni denunciano che la Sala costituzionale della Corte Suprema di Giustizia sia stata trasformata in una “succursale” della presidenza della Repubblica, mantenendo nell’ambiguità il concetto di indipendenza giudiziaria.

Questo rende ancora più grave la situazione di sbilanciamento dei poteri, venutasi a creare dopo le elezioni di febbraio 2021 dove “l’uragano Bukele” aveva portato a una inedita e schiacciante vittoria del suo partito Nuevas Ideas (Ni). Sebbene solo poco più del 50% dei salvadoregni aventi diritto al voto ha deciso di recarsi alle urne (cioè 2.707.794 persone), il plebiscito per il “presidente millennial” fu totale: 1.739.153 voti, equivalenti al 66,5% delle preferenze e a 55 seggi su 84 nell’Assemblea Legislativa (il secondo partito, Arena, conta con appena 14 seggi).

Nayib Bukele si trova oggi dunque ad “amministrare” i tre poteri dello stato, considerando quanto successo poco dopo la vittoria di Nuevas Ideas alle elezioni per l’Assemblea Legislativa. In quell’occasione Bukele ordinò ai suoi nuovi parlamentari di destituire nella prima sessione utile (quella del 1 maggio 2021), tutti e 5 i giudici della Sala Costituzione della Suprema Corte di Giustizia (oltre ai 4 supplenti) e il Procuratore Generale della Repubblica Raúl Melara: accusati di aver emesso verdetti contrari ai decreti del Presidente e di aver ostacolato il lavoro del ministero della Salute durante la pandemia. Questi fatti vennero duramente criticati dall’Oas (Organizzazione degli Stati Americani) e in particolare dagli Usa, forte e strategico alleato del Salvador. I nuovi giudici sono ovviamente “più in linea” con i progetti del Presidente e di fatto stanno avallando le sue politiche di cambi strutturali nel Paese.

Di fronte alle critiche internazionali e alle proteste interne, Bukele continua però a tenere la “barra dritta”, forte di un consenso popolare manifestatosi alle urne (appunto a febbraio) e usando la retorica delle necessaria costruzione di un Paese nuovo, che possa uscire dal dualismo partitico creato dopo gli accordi di Pace del 1992 dal partito di destra Arena (Alianza Republicana Nacionalista) e dal partito di sinistra Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Flmn). Esempio di ciò furono appunto le lapidarie parole del mandatario salvadoregno che, in risposta alle condanne internazionali dopo i fatti di sabato 1 maggio 2021, denunciò apertamente l’ipocrisia della comunità internazionale di fronte agli ambasciatori presenti nel Paese:

“A noi hanno dato un atto di Indipendenza, dicendoci: da qui in avanti voi siete un Paese autonomo, non colonia, non protettorato, un Paese indipendente. E noi ci abbiamo creduto!… A me è apparso davvero molto strano ricevere delle condanne internazionali su quanto accaduto sabato scorso. Non ci aspettavamo una condanna della comunità internazionale, però, non perché siamo degli ingenui ma perché non c’è niente da condannare.

Negli Usa, Obama quando vinse non lasciò al suo posto il Procuratore Generale dell’amministrazione Bush, lo sostituì con un suo uomo di fiducia. Stessa cosa ha fatto Trump, sostituendo poi il primo con un altro più affine alle sue politiche. Ora tocca fare lo stesso a Biden e nessuno ha detto niente, non ci sono state condanne internazionali che chiedano un bilanciamento dei poteri e che Biden nomini un Procuratore Generale del partito Repubblicano. Sarebbe assurdo chiedere questo a Biden, visto che è una sua prerogativa costituzionale nominare un Procuratore Generale del partito Democratico. Sarebbe una contraddizione chiedere al partito Democratico di non approfittare della sua vittoria elettorale. Quindi mi risulta davvero difficile comprendere perché va bene quando lo fanno gli Usa e non va bene quando lo facciamo noi […]”

Di certo rimane il fatto che la figura di Nayib Bukele continua a dividere la comunità internazionale creando un forte polarizzazione. L’ultimo scandalo risale a quanto pubblicato a fine agosto dal giornale digitale salvadoregno El Faro, che ha diffuso audio, fotografie e testimonianze di un patto segreto tra il Presidente Bukele e le tre principali “pandillas” che controllano il Paese: Mara Salvatrucha-13, Barrio 18 Revolucionarios e Barrio 18 Sureños. Gli accordi prevedrebbero miglioramenti della condizioni cacerarie e vari benefici per i membri in libertà delle “pandillas”, a cambio di una riduzione della violenza nelle strade e dell’appoggio elettorale.